Non ci si può credere. L’ha fatto ancora!
Va bene che già gli antichi romani sapevano che è difficile essere profeta in patria, ma scegliere l’Australia essendo nativo di Caldaro sulla Strada del Vino, Kaltern an der Weinstraße direbbe lui col suo accento naturale, qualcosa più di sedicimila chilometri, rivela carattere. Quel carattere che è forse il tratto distintivo più evidente della parabola sportiva di Andreas Seppi. Ed è proprio in questi dintorni che, alla vigilia dell’ottavo di finale contro Stan the Man, il secondo negli ultimi tre anni a Melbourne, vorremmo aggirarci.
Un metro e novanta per settantacinque chili, quindi magro e longilineo, ma alla fine dei conti non un gran servizio. Fondamentali a rimbalzo buoni ma senza il colpo che uccide, impatto pulito e poca rotazione. Questa non vuole essere in nessun modo una disquisizione tecnica, è solo per concentrare l’attenzione sulla vera dote di Andreas Seppi, il Carattere appunto. La maiuscola non è messa a caso.
Carattere, dicevamo. Cerchiamo anche di definire meglio i contorni di questa parola. Potremmo dire forza di volontà? Abnegazione? Capacità di soffrire? O forse solo e semplicemente serietà, porsi degli obiettivi e impegnarsi al massimo nel cercare di raggiungerli, provare a migliorare qualcosa ogni volta che sorge il sole, imparare dagli errori, lottare sempre per estrarre e mettere a frutto ogni stilla di talento. E pazienza se questo non è pari a quello di un McEnroe o di un Federer. Perché, senza tirare in ballo la distinzione fra potenza e atto in Aristotele o il tendere alla perfezione dell’Idealismo tedesco, non mettere a frutto immensi doni innati è molto peggio che realizzarne al massimo pochi.
Certo, ha sbagliato periodo storico. Fosse nato negli anni trenta la sua grazia, la calma, il rispetto del gioco e dell’avversario avrebbero suscitato una considerazione ben maggiore. Oggi è un poco diverso. Come altri sport il tennis è nato come passatempo per diventare infine spettacolo. Con la conseguenza che ormai troppo spesso si confonde il talento con altri aspetti, certo più legati all’intrattenimento che alla capacità tecnica e mentale, sole caratteristiche in base alle quali si dovrebbe giudicare un tennista o uno sportivo in genere. E siamo poi così sicuri che il nostro caro canguro altoatesino abbia meno talento (parola pericolosissima), poniamo, di un Kyrgios o di un Fognini? Uno gode di una prima palla di servizio spaziale e poco altro, le sue smorzate rimbalzano a metà campo, l’altro corre bene ed è uno specialista nei colpi dell’Ave Maria ma poi? Poi sono due istrioni che nel loro abbigliamento stile semaforo bucano il video, maleducati e irrispettosi di chiunque gli stia intorno. Insomma, perfettamente intonati al mondo in cui vivono. Che poi è anche il nostro.
È un peccato Andreas ma oggi l’educazione e l’impegno duro e silenzioso non sono più di moda. Ed è per questo che i tuoi solidi risultati, unico italiano di sempre a vincere tre tornei su superfici diverse, fanno meno rumore di una raffica di parolacce sparata in mondovisione. Ma tu il tuo posto d’onore nella terra dei canguri, ai quali un poco somigli nel carattere schivo e nella capacità di fare balzi lunghissimi, te lo sei conquistato di diritto, certo più di altri australiani che son già fuori dal torneo.
È l’accento tedesco che ti frega…
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