La parola del Direttore

Ace Cream: e se Djokovic fosse bollito?

MELBOURNE. Appena una domanda per l’Ace Cream più breve della sua ultra ventennale storia. Ma non ho risposte, dunque mi limito a porre l’interrogativo. Il seguente: Djokovic è definitivamente andato? Cioè svanito, dissolto, bollito, spiaggiato? Due indizi fanno una prova, tre una certezza… Lui è a cinque, e sono sinceramente troppi. Ma il dubbio c’è, e se vi venissi a dire che il numero uno del mondo di due mesi fa, l’inattaccabile, invincibile, inarrivabile Djokovic non vincerà più nulla d’importante, mi prendereste sul serio, o più convenientemente per pazzo? Mi direste, probabilmente, ciò che mi dico da solo… Diamogli ancora tempo, aspettiamo che ritrovi la forma, la voglia, o qualsiasi altra cosa al momento gli manchi. Giusto. Diamogli tempo. Ma lasciatemi dire, almeno, che non sarebbe la prima volta di un campione con tutte le maiuscole al posto giusto che d’improvviso si arena, che si sente schiacciato dalla sua stessa crisi e non sa come uscirne, che non trova le risposte che appena prima non era nemmeno costretto a cercare, tanto gli venivano spontanee.

Seguo il tennis dal 1976 e sono 41 anni. Ho visto inabissarsi Bjorn Borg, e aveva 26 anni appena. Ho visto Courier leggere libri ai cambi di campo di un Master, totalmente disinteressato alle sorti del match. Ho visto Wilander condurre vita monacale per arrivare al traguardo della leadership, e poi dissolversi appena indossata la fascia da premier del tennis. E dunque, perché non Djokovic? La sua meta erano gli Internazionali di Francia, li ha raggiunti, aveva quasi 18 mila punti in classifica… Poi ha toppato a Wimbledon con un Querrey qualsiasi, ha avuto un sussulto vincente in Canada, ha subito il bombardamento di Palito ai Giochi, si è spento con Wawrinka nella finale degli Us Open, si è fatto agguantare da Murray che gli ha dato lezione nella finale del Master. E qui ha giocato il peggior incontro della sua carriera da padrone degli Australian Open contro un Istomin onesto e simpatico finché si vuole, ma non esattamente un campione. Insomma, io il dubbio ce l’ho. E voi?

Daniele Azzolini

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