C’è un momento nella vita di ognuno di noi in cui si valica un confine. Una linea immaginaria del perimetro della nostra mobilità, sia fisica che mentale, chiaramente sentimentale.
A volte il perimetro viene applicato dall’esterno, qualcuno o qualcosa impedisce di muoverci in totale libertà nel mondo e negli affetti. In altri casi, è l’essere umano stesso che si pone un freno, una riga da non oltrepassare. Spesso è la paura che delinea essa stessa il confine. La riga bianca immaginaria che, anche se vogliamo, non riusciamo a valicare, superare, saltare. In altri casi invece si trova quel coraggio recondito e remoto, e valicare la riga è talmente semplice che proprio non ci si spiega come mai non lo si è fatto prima.
Nulla come il tennis mi fa pensare a confini, linee, sforzi, pulsioni, repressioni. I rettangoli che racchiudono porzioni di spazio, uno spazio immaginario. È pazzesco e, spesso, lo giudico ridicolo e lo penso: è ridicolo, ma proprio la sua follia è incredibilmente metaforica. Certo, dal mio punto di vista di approccio alla vita cerebrale, tutto è una metafora. Ma tant’è. Infatti.
Oggi ho visto una cosa. Ho visto una cosa di tennis. Ho visto una cosa di tennis successa a un tennista che non aveva mai sentito nominare (perché a me del tennis non frega niente di niente). Ho visto un tennista fare una cosa che sembrava impossibile e, sebbene avessi letto il titolo del video e sapevo già come andava a finire, mentre guardavo pensavo all’assurdità di quell’azione. Una distonia nel mondo articolato dalle leggi della fisica, almeno per come lo conosco io.
Il colpo, ho studiato, è una volèe bassa tagliata di rovescio ad opera di tale Benoit Paire in qualche torneo di cui ignoro il nome, il luogo e il perché. Ho provato a leggere qualcosa su di lui ma 1) non ci ho capito niente della carriera (non mi entrano in testa la classifica e tutte quelle robe lì) 2) mi annoiava tantissimo.
Ma il suo colpo NO.
Lui era lì, sudato, affranto, giovane e scattante, un eroe pronto alla battaglia che brandisce nella mano non una spada, ma una racchetta. Lui è pronto a prendere quella maledetta palla, a gettarla di là, ovunque, l’importante è prenderla, non farla cadere. Perché farla cadere ora è la vita o la morte. Perché valicare quel confine è questione di tutto. È come se tutto l’universo improvvisamente fosse lì, immobile. Ad osservare la pallina. E lui, l’eroe, quella pallina la prende, in un modo che non si usa. Lui, la pallina la deve prendere perché deve andare al di là della rete. Deve valicare quel confine. Deve superarlo e andare oltre. Tutto cambierà o forse niente. Ma in quel momento il confine si è disintegrato sotto gli occhi del mondo. Superare.
Poi in fondo alla fine non è cambiato niente ma per 5 minuti mi è sembrato che tutto fosse in quell’attimo. Il tennis, per quei 5 minuti, mi ha fatto meno schifo.
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