TENNIS – QUIET PLEASE! – Di ROSSANA CAPOBIANCO – Si pensava che il peggio, sul campo, Nick Kyrgios lo avesse già mostrato al grande pubblico: quanto accaduto a Shanghai, però, proprio dopo la vittoria a Tokyo, ha lasciato tutti sgomenti. Vuole solo essere il Re dei maledetti o vorrà anche vincere?
Chiariamolo subito: non è un processo alle intenzioni e agli atteggiamenti sul campo di Nick Kyrgios. Sarebbe stucchevole, per nulla edificante, anche un po’ bacchettone. Non si può però negare che quanto successo nella partita (se tale possiamo definirla) contro Mischa Zverev ha fatto parlare il mondo intero: almeno quello interessato al tennis o più in generale allo sport.
Perché questa volta non son state soltanto parole al vento, ripicche adolescenziali su amori o avventure galanti soddisfatte o meno; non sono state racchette spaccate, che il mondo del tennis (spesso intriso di perbenismo, dobbiamo ammetterlo) è abituato a perdonare. E’ stato un atteggiamento completamente anti-sportivo che durante un momento di competizione non dovrebbe esistere. Fondamentalmente Kyrgios ha rinunciato a giocare: lo ha fatto senza furbizia, senza trucchi, senza fingere di rimanere in campo. Perché sì, è capitato certamente a chiunque di non volere essere lì in quel momento e di vantarsi di un impegno che in realtà non c’è. Nick invece con la sua faccia tosta e privo di una vera educazione tennistica, ne ha dato spettacolo.
Uno spettacolo brutto: di quelli che ti vergogni un po’, che da appassionato di questo sport da sempre, temi quasi possa essere infangato da questo tipo di comportamenti. Eppure, errore grave a parte, non si dovrebbe mai giudicare in base a un sentimento, anche quando il sentimento è nobile e riguarda un’eredità collettiva, una comune predisposizione. Kyrgios ha sbagliato e lo ha fatto per sé: non ha fatto una bella figura agli occhi del mondo ed è una sua responsabilità, non del tennis o di chi lo ama, lo racconta, lo guarda.
L’errore Kyrgios lo ha pagato e lo pagherà, come ha fatto fino a qui, anzi di più: sconterà una squalifica di otto settimane che potrebbe ridursi a tre se dovesse affidarsi a uno psicologo di fiducia dell’ATP. Riduzione che comunque non porterebbe l’australiano a giocarsi quello che vorrebbe ma rientrerebbe per l’ultimo accenno di stagione che non comprende MS1000 e nessun altro torneo che possa interessargli. E’ per questo che ufficialmente Nick ha dato già appuntamento a tutti per l’anno nuovo, in terra amica, anche se amica nei giudizi la sua Australia non si è mai troppo mostrata.
Per la prima volta però pare essersi scusato davvero, malgrado l’atteggiamento da bullo subito dopo il match in conferenza stampa: “Non ci sono scuse, non ne cercherò”. Forse il margine tra il “bad boy” e la scorrettezza inizia a comprenderla anche lui.
Quello che manca a Nick, che poi tanto bad boy non è fuori dal campo, è probabilmente la consapevolezza: investito da nodi emotivi che gli impediscono di accettare di non essere il giocatore migliore quel giorno contro quell’avversario, fatica molto a gestire la sua reazione. Non riesce a controllarsi, non è capace di investire questo fuoco che ha dentro in qualcosa di più costruttivo: in poche parole Kyrgios è ancora uno juniores dentro.
Un infante, un allievo che deve ancora trovare il modo di apprendere e tirare fuori il meglio in circostanze difficili, quando si presentano i problemi. E la comprensione che per farlo serve una guida, un coach, un mentore, qualcuno di cui si fida ciecamente e che canalizzi quest’energia equilibrando voglia e volubilità.
Nessuno deve standardizzare Nick Kyrgios: non sarà mai Djokovic, Nadal o Lendl e neanche avrà mai la classe di Stefan Edberg. Rimarrà lui ma è bene che rimanga se stesso divertendosi in campo anche in momenti in cui non si piace, come nel tempo han saputo fare i vari McEnroe e Connors, seppur con connotazioni diverse.
Perché i lampi sono straordinari e lasciano a bocca aperta tanto quanto alcuni sconcertanti atteggiamenti: ricordiamoci però di dare risalto a entrambe le cose.
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