TENNIS – Di Daniele Azzolini
US OPEN. C’è un “modello Vinci”, e non lo sapeva nemmeno lei, la Roberta. Evitiamo di definirlo “Codice”, per non scivolare nella più deprimente banalità. Piuttosto, uno stile. Un’impronta. Certo più di un’illuminazione. Potrebbe diventare persino un brevetto.
Agli americani piace da matti, anche perché c’è chi si è preso la briga, in questi giorni di tennis, di semplificarlo e proporlo in patinato sulle riviste, come decalogo morale: essere se stessi, vincendo da persone normali; essere felici di quello che siete e ottenere il massimo dal vostro modo di essere. Non più il “Winning Ugly”, il vincere sporco dell’ex agitatore di menti Brad Gilbert, semmai una sorta di “Winning Soft”: farlo con quella morbidezza che implica il volersi bene ed evita qualsiasi volontà di sopraffazione altrui. Di fatto, un compendio che somma molte delle aspirazioni attuali di un popolo stanco di parole d’ordine eccitate, di aggressività, di avvocati minacciosi, di finanza alla cocaina. Roberta, nel tennis, sembra abbia dato un volto a questi desideri di rinascita. Lo ha fatto con un sorriso in più, con il suo stile italiano, per vie del tutto naturali. E senza sapere di farlo.
Così, se fosse possibile decidere attraverso un sondaggio i nomi delle due finaliste di questa edizione degli Open, gli americani voterebbero lei e Serena, per ritrovarle di nuovo in campo, e rivivere da capo le emozioni di un anno fa. Ancora loro, per capire se in dodici mesi la Williams è riuscita a scrollarsi di dosso la superbia che finì per tradirla, e cogliere il messaggio che l’italiana le consegnò in semifinale. Ma non è così che accade nel tennis, dunque Roberta alla sua finale dovrà arrivarci da sola, se davvero la vorrà. E sarà un percorso talmente accidentato da rischiare non uno, ma mille capitomboli. C’è però una novità, un fatto che non era previsto in alcun pronostico. Roberta è nei quarti di finale, ed è la quarta volta in questo torneo, in tutta evidenza il più affine al suo tennis. Ha messo alle spalle la tedesca Friedsam, la statunitense McHale, ancora una tedesca, la Witthoeft, ieri l’ucraina Lesia Tsurenko. Persino il dolore al tendine ha tenuto a bada, anestetizzato dall’adrenalina che le dona un piglio corsaro, e la fa sentire di nuovo in missione verso una meta che non ha precisi contorni, salvo quelli di sentirsi di nuovo protagonista, forse per l’ultima volta. Ed è a due vittorie da una nuova finale.
Il match con la Tsurenko si è giocato in un set, il primo. Roberta lo ha vinto in un tie break spinoso, e solo perché più dell’avversaria ha saputo gestire le risorse e pianificare le mosse. C’era da tenere duro, e lo ha fatto. I colpi le uscivano privi di forza, ma ha puntato il fuoco sulle parti scoperte dell’avversaria, sul dritto che è quasi sempre svolazzante, e ha immagazzinato i punti che servivano. Il resto, nella seconda frazione, è venuto da sé. Lì Roberta ha persino ritrovato servizio e frustate di dritto. Ma quel che conta è che ha vinto con l’intelligenza. Quella dote che finirà per farla adottare dai newyorchesi stanchi di una società così aspra. Winning Soft, cara Roberta. Puoi scriverci un libro.
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