TENNIS – DI FABRIZIO FIDECARO – Nelle ultime tredici edizioni il titolo di Wimbledon è sempre andato a uno dei “Fab Four”. Quest’anno Nadal non parteciperà e Federer non appare al top, ma è probabile che, grazie a Djokovic o a Murray, la striscia si allunghi ulteriormente.
Non si scappa: a Wimbledon vince uno dei “Fab Four”. In anni più o meno recenti le altre prove dello Slam hanno registrato qualche timida eccezione: Stan Wawrinka agli Australian Open e al Roland Garros, Juan Martin Del Potro e Marin Cilic agli US Open. A Church Road, invece, nulla di tutto ciò: ad alzare il trofeo nelle ultime tredici edizioni è sempre stato uno tra Roger Federer, Rafael Nadal, Novak Djokovic e Andy Murray. Anzi, nelle ultime cinque stagioni i Beatles del tennis hanno ininterrottamente monopolizzato la finale.
Come noto, a fare la parte del leone è stato Federer, con cinque affermazioni di fila dal 2003 al 2007 e altri due titoli aggiunti nel 2009 e nel 2012. Djokovic si è imposto tre volte (2011, 2014-15), Nadal due (2008, 2010), Murray una (2013). Per gli altri solo le briciole. È dunque nell’evento tradizionalmente più prestigioso che il dominio delle quattro stelle ha assunto le dimensioni maggiori.
La serie, come detto, ebbe inizio con Federer nel 2003. Il fuoriclasse di Basilea, numero 4 del seeding, non si era ancora sbloccato a livello Major, ma l’immenso talento di cui disponeva lasciava presagire grandi cose. Il suo cammino fu quasi immacolato: appena un set lasciato per strada, al terzo turno allo statunitense Mardy Fish e due fantastiche prestazioni negli ultimi incontri con Andy Roddick (che sarebbe divenuto la sua vittima preferita) e Mark Philippoussis. Fu il primo di diciassette centri complessivi nei Big Four, tappa fondamentale per la conquista della leadership mondiale, che sarebbe avvenuta dopo il trionfo nei successivi Australian Open.
Per Nadal il successo arrivò cinque anni più tardi. Rafa si era dovuto arrendere nel match clou a Roger nelle precedenti due edizioni, ma nel 2008 ebbe la meglio al termine di una sfida epica, conclusasi sul 9-7 al quinto ed entrata a buon diritto nella storia del nostro sport. Poco dopo lo spagnolo avrebbe sorpassato per la prima volta il grande rivale anche in vetta al ranking Atp.
Chi di Wimbledon ferisce di Wimbledon perisce, e tre stagioni più tardi Nadal subì la legge del contrappasso, venendo battuto nella finale dei Championships da Novak Djokovic, cui a sua volta cedette il primato in classifica, mai raggiunto in precedenza dal serbo. Nole prevalse in quattro set, senza mai dare l’impressione di poter riammettere seriamente in partita l’avversario.
In questa curiosa concatenazione di vittorie e sconfitte, non poteva che essere proprio Djokovic il testimone diretto sul campo della prima (e finora unica) affermazione di Andy Murray. Nel 2013 il ragazzo di Dunblane rifilò tre set a zero nell’ultimo atto a Nole, facendo tornare un britannico al successo a settantasette anni di distanza dalla terza e ultima vittoria londinese di Fred Perry. Tuttavia Murray non ha completato l’opera come i suoi predecessori e non è ancora riuscito a divenire numero uno.
È pressoché impossibile che lo scozzese colmi a breve la lacuna, ma proprio da Wimbledon – dove si affaccerà con di nuovo al fianco Ivan Lendl, il coach delle vittorie più belle – potrebbe cominciare la sua riscossa. Nadal non ci sarà causa infortunio, Federer veleggia verso le trentacinque primavere e sembra piuttosto distante dalla condizione migliore, ma Djokovic è motivatissimo e in forma smagliante. Salvo eventi imprevedibili, la striscia vincente dei Fab Four appare destinata ad allungarsi ulteriormente.
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