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Caso Sharapova / I retroscena della sentenza: niente prescrizione medica per il meldonium dal 2010, solo il papà e l'agente sapevano del farmaco

TENNIS – Di Diego Barbiani

Partiamo dai fatti certi: il tribunale dell’ITF ha squalificato Maria Sharapova per due anni. La russa, che ha prontamente annunciato ricorso, al momento potrà tornare a giocare solo dal 26 gennaio 2018.

L’ITF ha riconosciuto nelle gesta di Maria una negligenza e non una volontà di barare, ma ci sono molte più sfumature nei 104 punti che comprendono il modulo dela sentenza. Alcuni dei quali, va detto, non sembrano poi così favorevoli alla tennista russa come invece ha cercato di far notare sui suoi profili social quando annunciata la felicità perché non le era stata riconosciuta la volontà di barare. E’ bene però ricordare una cosa: prima del 1 gennaio 2016 l’assunzione di meldonium era considerata regolare a tutte le quantità. Semmai quello che non quadrà è il grande silenzio e l’alone di mistero che Sharapova ha voluto conservare attorno a questo. Ma andiamo per gradi.

Il modulo si snoda principalmente attorno a 3 punti:

  • Problemi

  • Fatti

  • Testimonianza di Maria Sharapova e Max Eisenbud

Riguardo al primo punto scopriamo subito una cosa: il controllo positivo del 26 gennaio non fu un caso isolato, ce ne fu un secondo pochi giorni più tardi (il 2 febbraio) a Mosca per la Fed Cup ed anche lì Sharapova venne trovata positiva al meldonium. Per l’ITF però la positività è una sola, non due casi separati.

Riguardo al secondo, Sharapova, nella conferenza stampa dello scorso 7 marzo aveva annunciato che il medico di famiglia (colui che l’avrebbe messa in guardia da possibili problemi di salute negli anni a venire) Anatoly Skalny, le aveva prescritto per la prima volta questo farmaco nel 2006, un anno dopo che lei avvertiva continuamente problemi di salute. Skalny rilevò a seguito di numerose analisi diversi problemi come un disordine del metabolismo, insufficiente scorta di nutrimento ed altre anomalie prescrivendole 18 medicine.

Da gennaio ad aprile del 2006, Skalny inviò vari messaggi a Sharapova, dove diceva come prendere le varie medicine. In uno di questi faceva riferimento proprio al mildronate (meldonium): 1-2 pillole di 10mg al giorno per 2 settimane, 2 pillole 1 ora prima degli allenamenti, 3-4 pillole prima di partite importanti (1 ora prima del match), 1 capsula 30 minuti prima degli allenamenti, 2 capsule 45 minuti prima dei tornei.

Sharapova avrebbe continuato ad avere rapporti con questo medico fino al 2012. Regolarmente, ogni anno, si presentava da lui per un controllo del sangue e l’11 maggio del 2010 Skalny le indica di aumentare da 18 a 30 il numero di medicine da assumere per i suoi problemi di salute. Quella fu anche l’ultima volta in cui la russa ed il medico si incontrarono, poi lei decise di cambiare strada perché il numero di pillole da ingerire le sembrava troppo alto.

Qui comincia il mistero: le uniche 3 medicine che continuò a prendere furono Magnerot, Riboxine e Mildronate (contenente meldonium). Questa scelta (punto 27.) fu fatta senza il consiglio di un medico. Di conseguenza, dal 2010 non esiste più prescrizione per l’utilizzo di Mildronate né lei ne ha mai fatto parola (punto 29.) con alcun medico con cui ha avuto a che fare, che sia quello di famiglia o quello della WTA. In generale nessuno del team Sharapova ad eccezione del papà e del manager Max Eisenbud (dal 2013) conosceva del Mildronate, ma soprattutto nessun documento da dopo il 2010 ne autorizzava l’utilizzo. Finché comunque la sostanza veniva considerata regolare, non c’era alcun problema. Perché anzi tutto questo alone di mistero se la sostanza non doveva creare problemi? Perché poi continuare a prenderla per anni ed anni senza la prescrizione medica?

Fino a fine 2015 continuò il trattamento datole da Skalny: 500mg prima delle partite. L’unica differenza era che invece di prenderne 30-40 minuti prima delle partite lo faceva alla mattina, ingerendo 2 capsule.

Terzo punto: Sharapova, in tutti i controlli antidoping effettuati dal 22 ottobre 2014 al 26 gennaio 2016 (punto 49.), non ha mai dichiarato l’utilizzo di Mildronate. Eppure questa sostanza è stata trovata in grandi quantità il 9 luglio del 2015 durante il torneo di Wimbledon, il 27 ottobre alle Finals di Singapore ed il 14 novembre in occasione della finale di Fed Cup. In più l’avvocato Haggerty, con una lettera del 28 aprile 2016, dichiarava l’assunzione da parte di Sharapova di 500mg di Mildronate il 18-20-22-24-26 gennaio: i 5 giorni durante l’Australian Open in cui doveva scendere in campo. 6 volte durante Wimbledon 2015. Il problema per lei, però, era che nel primo caso la sostanza era diventata illegale.

Da qui, le parole di Sharapova sembrano abbastanza confuse e poco convinte (punto 50. e 51.): “Non credevo fosse una responsabilità così importante scrivere tutte le medicine che prendevo ma come dicevo si tratta di un errore”. Per il tribunale, invece, un commento del genere è inammissibile e viene ritenuta come una scelta presa di propria volontà, non un semplice errore. (punto 53.) Ha dichiarato inoltre di non essere a conoscenza degli ingredienti del Mildronate (tra cui il meldonium) ma non aveva le prove per dimostrare come fosse fatta la confezione e di non sapere come suo padre sia entrato in possesso di quella sostanza in Russia. L’ITF invece è riuscita a rimediare un pacchetto di medicinali dove la scritta ‘meldonium’ in russo, compare piuttosto grande sulla confezione.

(punto 56.) Poi è toccato al suo manager, che ha trovato una motivazione – per così dire – originale per spiegare come mai non abbia controllato a fine 2015 le novità nella lista delle sostanze proibite dalla WADA e non abbia avvisato Sharapova: Eisenbud a fine del 2015 doveva occuparsi del divorzio dalla moglie. Nel 2013 e nel 2014 lui stampava la lista e la portava ai Caraibi per verificarla durante la vacanza, ma le vicende del 2015 non gli hanno permesso di fare i controlli. Eisenbud, inoltre (punto 57.) è sembrato ignorare la differenza tra il nome del prodotto e come viene riportato nella lista delle sostanze proibite.

Infine, parte finale del punto 63., si stabilisce che si potrebbe pensare ad un utilizzo continuato nel tempo (2006-2016) per scopi benefici, ma l’assenza di documenti medici che ne certifichino l’utilizzo da dopo il 2010, il fatto che lo abbia tenuto nascosto sia all’antidoping che al suo team fa pensare in realtà che l’unico scopo era quello di migliorare le proprie prestazioni sportive.

Essendo questa affermazione (“migliorare le proprie prestazioni sportive”) riferita a 6 anni prima dell’ingresso nella lista delle sostanze proibite, Sharapova assumendo meldonium non infrangeva alcuna norma e come lei chiunque altra poteva usufruirne. La domanda semmai è: è possibile che un manager di quella esperienza ed importanza, che ha preso Sharapova nel 1999 a 12 anni, vada a commettere un’ingenuità simile e non avvisi la stessa assistita rischiando di compromettere la carriera e l’immagine di una delle donne più famose al mondo? E’ possibile che la stessa Sharapova non conosca come sia fatta la confezione contenente il meldonium? E’ possibile che per quasi 6 anni abbia preso questa sostanza senza prescrizione medica, non avvisando praticamente nessuno del suo team, della WTA, dell’ITF di questa informazione?

Si può dire, come poi hanno stabilito i giudici, che si tratti di negligenza e dunque 2 anni (invece che 4) possano essere la giusta pena. La sentenza però, ora, lascia ancora più domande di prima.

 

 

Diego Barbiani

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