La parola del Direttore

Ace Cream / Djokovic è grande, ma Murray è davvero piccolo

TENNIS – Dal nostro inviato a Parigi Daniele Azzolini

ROLAND GARROS. Niente contro Nole, davvero… E come potrei? La classifica degli Slammers la fanno i più grandi, e lui vi sta dentro con grande merito e grande goduria, come un topo caduto su una forma di parmigiano.

Mi piace meno come gioca, ma questo è un altro aspetto del problema. Mi dà la cecagna, ma non mi intorpidisce al punto da non vedere e non apprezzare le sue qualità. Vero, mi sono divertito di più a finale conclusa, quando Djokovic ha disegnato un cuore di terra rossa sul campo, omaggio ai citoyens finalmente sodali e al primo pittore di cuori terricoli, Guga Kuerten, suo amico. Ricordo bene l’incredulità che ha mostrato, per una vittoria strappata al fato neghittoso, e solo al quarto tentativo. E mi è parso genuino lo smarrimento di chi si scopre campione fra i campioni, come Emerson al momento, ma più di Borg e McEnroe, di Connors e Lendl, e forse, chissà, non aveva mai pensato di potersi issare così in alto, fra le nuvole, nella Djokosfera, là dove si può persino pensare di non essere più raggiungibili. «Ora sei davvero il più forte», gli ha detto Adriano Panatta consegnandogli la Coppa che Nole non aveva mai sollevato. L’ha meritata, e Parigi – non dimentichiamolo – è ormai lo Slam più difficile da conquistare.

Sono i numeri a narrare la forza del Djoker. Essere giunto a quota 12 Majors significa puntare dritto alla vetta, e non è poco. Anzi, sono due le imprese che Novak può fare sue a questo punto: superare i 17 Slam di Federer, e affiancare Don Budge (1938) e Rod Laver (1962 e 1969) nel Club dei vincitori del Grand Slam. Intanto, è l’unico ad aver centrato il cosiddetto Grand Slam virtuale, che in effetti di virtuale ha ben poco, trattandosi di quattro vittorie consecutive e sonanti, sia pure ottenute in due stagioni distinte, Wimbledon e Us Open nel 2015, Australian Open e Roland Garros quest’anno. Nella lista degli Slammers, invece, è quarto, dietro Federer (17), Nadal e Sampras (14) e accanto a Emerson (12), ma sopra Borg e Laver (11) e Tilden (10). Inoltre, aver sollevato il trofeo di tutti e quattro i Majors lo inserisce di diritto nella lista dei vincitori del Career Grand Slam: sono otto, con Budge e Laver in testa e insieme a Federer, Nadal, Perry, Emerson e Agassi. Ma per due di loro, Agassi e Nadal, il “Career” viene considerato dorato (Career Golden Slam), dato che vi hanno aggiunto la vittoria olimpica, obiettivo che il Djoker può far suo a Rio.

Semmai, mi è difficile cancellare gli inciampi, gli errori, le sviste, le imprecisioni, le cantonate di un match percorso da un folle bisogno di farle sempre più grosse e incomprensibili. È stata una finale da 64 vincenti (appena 23 per Murray) concessi generosamente dalla statistica e 80 errori gratuiti, anche in questo caso calcolati per difetto, nella quale c’è sempre stato un solo giocatore in campo, mai tutt’e due. Murray nel primo set, poi Djokovic. Una finale che ha visto i protagonisti a turno anestetizzati, ognuno con la sua sporta di angosce e di sensi d’insufficienza, comprensibile quella di Djokovic che a Parigi si giocava grandeur e credibilità, caratteriale quella di Murray che con l’animo troppo tenero non ha mai smesso di fare i conti.

Quel che mi resta difficile comprendere, o forse mi appare del tutto inaccettabile, nel caso avessi compreso benissimo di che pasta sia fatto, è la materia all’apparenza misteriosa di cui è composto Andy Murray. Non so se gli manca il cuore, o il coraggio… Non direi, non sempre è stato così. E non so nemmeno se sia fragile dentro, tendente a spezzarsi di fronte a tipi più tosti di lui (e certo Djokovic lo è). È un tennista indubbiamente forte, che ha vinto due Slam e un oro olimpico, e so per certo che non si vincono mai trofei del genere in modo casuale. Eppure lo guardo e allibisco. Meglio, trasecolo ogni volta. Va in testa, come in questa finale, e al primo inciampo rompe l’andatura come il peggiore dei ronzini. Gioca da dieci anni e si perde ancora dietro gli insulti che rovescia addosso ai suoi cari, mamma e moglie, al suo team, e a tutti quelli che gli passano per la mente. Dilapida energie senza un perché, invece di concentrarsi su ciò che richiede il match, magari solo su un po’ più di tattica da calare nel confronto. Una definizione? Ha un carattere da educanda isterica.

Dicono che Nole vinca per mancanza di avversari. Anzi, sento dire che Nole conquisterà il Grand Slam proprio per questo motivo. Sinceramente? Penso che se l’avversario continuerà a essere Murray, Djokovic potrà raggiungere i venti Slam. Andy ha vinto due finali e otto ne ha perse, cinque con Djokovic e tre con Federer. È il numero due, e resterà tale. È già molto così.

 

Daniele Azzolini

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