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WTA Madrid: Louisa Chirico, la favola nata da un'intuizione geniale

TENNIS – Di Diego Barbiani

MADRID. «Louisa, sei entrata nel tabellone dell’ITF di Cagnes sur Mer» diceva Jay Gooding, coach di Luisa Chirico. «Ok, e per le qualificazioni a Madrid?», chiese lei. «Non ci sei ancora… Servono altri forfait, che facciamo?».

In quel momento, Chirico decise di rimanere in Repubblica Ceca ancora qualche giorno per vedere come si sarebbe evoluta la situazione. Era il lunedì della scorsa settimana, e la statunitense aveva appena perso nell’ultimo turno di qualificazioni al torneo di Praga da Tereza Smitkova. A quel punto, due strade: una che portava in Francia, in Costa Azzurra, per un ITF da 100.000 dollari (il più ricco della categoria), un’altra che prevedeva un aereo per Madrid nella speranza di riuscire ad entrare nelle qualificazioni. Una situazione, questa, che per chi non ha ancora messo piede nella top-100, o più in generale non hanno classifica per programmare la stagione in base ai grandi eventi, è piuttosto comune.

Chirico prese tempo: il suo obiettivo era andare in Spagna per mettersi alla prova in un torneo di altissimo livello come un Premier Mandatory. La fiducia c’era. Ad aprile si è ben comportata prima a Charleston dove arrivò agli ottavi, poi a Stoccarda dove superò le qualificazioni in uno dei tabelloni da sempre tra i più difficili della stagione. A metà settimana capì che c’è la possibilità di giocare a Madrid, si è cancellata dal torneo francese ed è arrivata in Spagna dove ha infilato una dietro l’altra: Irina Falconi, Mariana Duque Marino, poi nel main draw Monica Niculescu, Ana Ivanovic, Victoria Azarenka (per ritiro) e Daria Gavrilova. Da che non doveva essere nel torneo, si è ritrovata in semifinale. Da che non riusciva a compiere l’ultimo step per entrare nelle 100, ora è almeno al n.75.

‘Sliding doors’, la definiscono gli inglesi: porte girevoli, diciamo brutalmente in italiano. Il significato è unico: “cosa sarebbe successo se…”. Cosa sarebbe successo se fosse andata in Francia, se non avesse preso questo rischio? Magari avrebbe avuto una giornata storta al primo turno, perso per via di una chiamata errata, un dettaglio.

Nata il 16 maggio del 1996 a Morristown, nel New Jersey, ha cominciato a giocare a tennis 7 anni più tardi, sport che per anni ha diviso con il calcio dove, dice lei stessa, era piuttosto brava: «Ero difensore centrale, stavo anche prendendo l’impegno con serietà, ho fatto anche un po’ di basket, pattinaggio di figura ed hockey sul ghiaccio. Poi a 12 anni ho dovuto scegliere». La scelta alla fine è ricaduta sul tennis perché «è davvero figo essere in campo e dover risolvere il problema da soli: sei in una battaglia con un’altra persona, ed allo stesso modo tu dipendi da lui perché non sai mai quello che può accadere, molto simile alla boxe».

Al contrario di diverse altre connazionali, adora la terra battuta: «Come mai? Mi muovo molto bene su questa superficie, ho passato tantissime estati a giocare sulla terra verde». Al contrario di tanti altri connazionali, lei non è passata per il college come step intermedio, decidendo tra il 2013 ed il 2014 di dedicarsi totalmente al professionismo. Si era iscritta alla prestigiosa Rye Country Day School, una scuola preparatoria al college, dove molti corsi vengono impartiti in due versioni: regular ed honor. I secondi sono riservati a chi mostra determinate attitudini, proprio il caso di Chirico che fin lì stava tenendo una media tra le più alte. Durante il primo anno ha dovuto lasciare gli studi in classe per via dei tanti viaggi ed allenamenti a cui doveva andare incontro. Ha continuato così a studiare tramite Skype, in collegamento costante con alcuni tutor messi a disposizione dallo stesso dipartimento.

Facendo i tornei Slam di categoria vedeva di poter giocare alla pari con le migliori al mondo, intuendo dunque di poter avere una possibilità. Una volta arrivata al centro federale statunitense (la USTA), ha conosciuto quello che poi sarebbe diventato il suo coach attuale: Jay Gooding, che come prima cosa le impedì, con il consenso della federazione, di disputare tornei per 6 mesi. Il motivo? Bisognava sistemare un dettaglio nel dritto, un’impugnatura troppo accentuata che in quel momento le stava dando grandi risultati, ma col tempo le avrebbe causato problemi. Finito il periodo di “purificazione”, Chirico fece subito centro. Al secondo ITF in carriera, Sutmer 2012, arrivò il primo titolo. Da lì è partita la sua avventura. Vinse un torneo anche in Italia. Nel 2014, a Padova, batte Paula Cristina Goncalves per il primo titolo della carriera sulla terra battuta.

Prima di questo aprile-inizio maggio folle, poteva raccontare come miglior risultato la finale nel WTA 125k di Limoges dello scorso inverno, quando perse da Caroline Garcia. Quel piazzamento le permise di approdare nei pressi della top-100, ma un infortunio poco prima dell’inizio del 2016 ha frenato la sua corsa. Almeno, l’ha ritardata di qualche mese.

Quando ancora si divideva tra calcio e tennis, il suo obiettivo era di diventare forte come Mia Hamm, considerata a livello internazionale come la giocatrice più forte della storia, omaggiata anche dalla FIFA quando venne inserita nella lista FIFA 100 il 4 maggio del 2004, a Londra. Una scheda dove vengono inseriti i 125 nomi dei calciatori più forti, sia ritirati che in attività, al momento della stesura. Hamm è una delle due donne inserite, l’altra è Michelle Akers. Una volta scelto il tennis, il punto di riferimento fu «Kim Cljisters. Mi piaceva sempre vederla in tv, sono cresciuta con le sue partite. Poi anche Steffi Graf. Ho avuto occasione di allenarmi con lei un anno fa, prima di Indian Wells, un’esperienza incredibile». Ora è arrivato il primo risultato di rilievo tra i grandi, con una semifinale però ancora da giocare contro Dominika Cibulkova o Sorana Cirstea, in un torneo che sta regalando stravolgimenti partita dopo partita. Oggi ha vinto il primo ‘derby’ tra outsiders con un netto 7-6(2) 6-2 ai danni di Daria Gavrilova, dominando un’australia apparsa mentalmente un po’ stanca dopo tre vittorie di ottimo livello. Lei invece sembra volare, gestendo la situazione nella maniera migliore, non mostrando un filo di tensione e comandando tutti gli scambi con un gioco potente ma costruito, senza farsi prendere dalla voglia di chiudere il punto in due colpi. Dice di non bere caffè perché non ha bisogno di caffeina e dentro di lei c’è un serbatoio di energia che non si esaurisce mai. Come la sua voglia di continuare a stupire.

 

Diego Barbiani

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