TENNIS – Dalla nostra inviata a Stoccarda.
C’è chi alla mamma regala un mazzo di rose e chi, come Roberta Vinci le regala una vittoria nel match di esordio di questo Porsche Tennis Grand Prix. Oltre al match di oggi, la numero 8 al mondo ci parla anche di un suo futuro da coach, di capitano di Fed Cup, e delle sue aspettative per Roma.
Hai fatto un un bel regalo a tua mamma per il suo compleanno.
«Eh sì, molto bello ! Mi sono dimenticata di dirlo nella intervista in campo. Penso di averle fatto un bel regalo sì. Le ho scritto questa mattina, ma non mi risposto, mi sono detta “Sarà scaramanzia”, perché lei è molto scaramantica… come me. Però sarà molto contenta»
Due ore e mezza, un match difficile…una bella vittoria.
«Sapevo che era una partita difficile. Makarova è una giocatrice difficile. Io ho giocato bene, il campo è veloce. Sono stata un set e 3 a 1. Ho avuto tante chance di andare 4 a 2. Sono rimasta concentrata, mi sono detta non pensare al secondo set. Sono felice, soprattutto dopo aver giocato due brutti match in Fed Cup. Sono contenta di aver vinto. Ogni volta che si gioca con lei è quasi un terno al lotto, perché ha un gioco fastidioso, poi è mancina. Io ho il rovescio ad una mano non ho il colpo vincente perciò devo spingere di dritto. Penso di aver giocato bene. Un bel match sin dall’inizio. Sapevo che dovevo fare la differenza con il dritto. Il campo è molto veloce e chi prima prende prima l’iniziativa, ha più possibilità di vincere il punto. Si difende male, scivola molto. Questa non è una terra normale.Alla fine ero molto stanca ma anche un po’ di testa. Comunque due ore e 20 di un bel tennis da parte di tutte e due. Combattuto con break e controbreak. Si è giocato alla fine per pochi punti».
Cinà ti ha detto la stavi uccidendo con il dritto…
«Sì, sentivo di farle male con quel colpo. Io se gioco bene di dritto ho molte chance per vincere. Di rovescio, contengo ma è il dritto che mi fa fare la differenza».
Quando colpiva gli schiaffi al volo quasi sempre riuscivi a leggere la direzione del colpo
«Vuoi la verità? Fortuna! Un poco mi immedesimavo, ma è istinto».
Quando fai un gran colpo e tutti si alzano in piedi per l’applauso, cosa provi dentro di te?
«Io non penso di essere presuntuosa, non penso “Guarda che ti ho fatto”. Devi anche pensare subito al punto successivo. E poi è sempre un 15. Non ti danno il game per un bel punto. Ho notato che tante giocatrici mi vengono a vedere. Penso perché ho un tennis diverso che piace. E’ divertente il mio tennis. Certo, quando vinco un punto bello sono contenta. Ho fatto un rovescio vincente che mi sono detta “Ammazza che bello!”»
Giocare sapendo di avere il problema al piede, ti ha permesso essere mentalmente libera?
«Da una parte i dolori ti mettono molti pensieri in testa. Sei anche un po’ rassegnata. Hai dolore, provi giocare più veloce. Però oggi, ho cercato di non lamentarmi. Di non far vedere che comunque avevo difficoltà. Non mi sento fisicamente al 100% in campo, però riesco a lottare lo stesso. Cerco di rimanere attaccata. Giocare anche d’istinto a volte va anche bene».
Prima hai detto “Non pensare al set perso”, come si fa a cancellarlo dalla mente?
«Alla fine del secondo set, ho pensato di avere avuto tante occasioni, sono andata al cambio campo mi sono detta “Cancella questo set. Ora ne inizia uno nuovo e da subito cerca di spingere come hai fatto nel primo set. Resetta. Si inizia da zero a zero e cerca di essere aggressiva”».
Fra qualche settima si gioca a Roma…
«A Roma c’è sempre tanta pressione, ma forse quest’anno ancora di più. Sono la numero 8 al mondo, la numero 1 in Italia. Molta pressione». E poi ridendo «Io gioco sempre male a Roma… ora mai sono rassegnata! Giochero male ancora» Scherza.
Quando fra 20 anni smetterai di giocare… ti piacerebbe allenare?
«Mi piacerebbe fare il coach. Penso di capirne un po’ di tennis. Gli schemi, le tattiche, mi è sempre piaciuto, fin da piccola. Mi piace andare a vedere le partite, di capire. Parlo tanto con Francesco (Cinà) anche di questo. La figura del coach è completa. In campo è quello che ti dice di giocare incrociato oppure lungo linea, ma prima della partita deve gestire la tensione. Per come sono fatta io, Francesco mi parla tanto. Alla fine il coach è la persona che sta più sta a contatto con te e ti deve indirizzare, ti deve trasmettere serenità tranquillità fuori dal campo. Non è facile fare il coach. Ma a me piacerebbe. Però con giocatrici italiane. E comunque una volta che smetto ho bisogno di fare una gavetta. Fare il coach è diverso da essere giocatore. Molti quando smettono dicono “Voglio fare il coach”. Ma secondo me devi capire come. Quando smetto, non sono sarò subito pronta per farlo».
E capitano di Fed Cup?
«Capitano di Fed cup difficile. Lì devi essere una carismatica. Non mi ci vedrei bene. Poi mai dire mai. E’ una domanda che mi hanno fatto tante volte. Forse vedrei meglio una Pennetta, una Schiavone. Ma ripeto, mai dire mai,
Hai detto che ti piace guardare le partite, c’è una giocatrice che segui ?
«Mi piace andare a vedere un po’ tutte. Non ho una giocatrice particolare che vado a vedere. Mi piace andare a vedere la partita, capire gli stati d’animo vedere come si comportano. Mi piace osservare»
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