TENNIS – QUIET PLEASE! – Di ROSSANA CAPOBIANCO – E’ forse lecito lasciarsi prendere dallo sconforto e dalla comprensione umana per gli atleti che tifiamo o che fin qui abbiamo ammirato. E’ poco giusto condannare a priori senza conoscere tutti i fatti ma è doveroso farsi delle domande e considerare tutte le incongruenze del caso. In quello di Maria Sharapova, non mancano di certo.
Non era Domenica, come in quella delle Salme di De André ma il giorno dopo, una serata europea e un’assolata tarda mattinata di Los Angeles, “downtown L.A.”, come la chiama Maria senza celare il suo giudizio sul cattivo gusto del tappeto sopra il quale sta camminando. Queen of Style fino alla fine, poco prima che addetti ai lavori, appassionati, giornali, media di tutto il mondo si scatenassero sulla questione.
Che tutti noi ci aspettavamo un annuncio di ritiro, sospettavamo l’ennesima trovata commerciale, ci sembrava più probabile l’annuncio di un lungo stop per infortunio; colti di sorpresa dal doping, da una conferenza stampa di portata mediatica mondiale convocata a distanza di cinque giorni dalla lettera ricevuta dall’ITF in cui si notifica la positività al Meldonium, sostanza inserita nella lista WADA all’inizio del 2016 per “evidente uso da parte degli atleti al fine di migliorare le prestazioni perché favorisce l’accelerazione del metabolismo e accresce la capacità operativa di corpo e mente, nonché la resistenza alla fatica”.
Maria si prende tutte le responsabilità e parla di un errore di negligenza, di non aver avuto l’accuratezza -e così tutto il suo team- di controllare quella lista, di “cliccare su quel link sulla mail che ci inviano a fine stagione” per controllare quali fossero le nuove sostanze proibite.
“Assumo questo medicinale che contiene meldonium da dieci anni”, ha ammesso, “perché in famiglia c’era una storia di diabete ereditario e spesso ero debole e avevo qualche malanno, l’ECG aveva qualche anomalia”. E’ proprio in questo punto che la storia di Maria Sharapova inizia a fare acqua e ci pone diversi interrogativi.
“IL MELDONIUM PER QUEI SINTOMI DESCRITTI DALLA SHARAPOVA LO SI ASSUME DALLE QUATTRO ALLE SEI SETTIMANE”
A parlarne è la società che produce il Meldonium, la Grindeks, in Lettonia. L’uso di esso è concentrato soprattutto negli ex paesi sovietici; la sostanza non è una sostanza naturale, dunque il suo uso può essere motivato da diverse cause, una malattia cronica a livello cardiaco e naturalmente essere usato come doping. Molti atleti a inizio 2016 sono stati trovati positivi a questa sostanza e più di 700 di questi (dai documenti della stessa WADA) sono atleti russi. Ultimi, insieme a Maria Sharapova, anche Ekaterina Bobrova, campionessa di pattinaggio artistico e Pavel Kulizhnikov, cinque titoli mondiali nel pattinaggio ad alta velocità. Difficile credere che tutti questi atleti soffrissero di questi problemi cronici.
Facile forse invece comprendere quale sia al momento l’obiettivo della WADA, verso quale federazione sia rivolta la sua lotta. Naturalmente molti medici russi si sono scagliati contro la WADA, a conferma degli attuali attriti. «In Occidente vedono che gli atleti russi prendono qualcosa, ma non sanno cos’è e quindi deve essere per forza doping: questa è una mentalità da guerra fredda e se le ricerche su questo farmaco fossero state pubblicate su riviste occidentali non ci sarebbe stato nessun divieto», afferma Iliukov, medico sportivo del centro di medicina sportiva della città finlandese Kuopio ai media russi.
PERCHÉ MARIA SHARAPOVA CHE VIVE NEGLI U.S.A. DA TANTISSIMI ANNI AVEVA BISOGNO DI UNA PRESCRIZIONE DI UN MEDICO RUSSO PER UN FARMACO NON CONSENTITO NEGLI STATI UNITI?
Insieme a quella degli altri atleti russi positivi alla stessa sostanza, questa rimane l’incongruenza più curiosa. La Sharapova vive in Florida da più di quindici anni, dall’accademia di Bollettieri e spesso si è pensato che potesse avere anche passaporto americano; completamente assorbita dallo show business statunitense, avvezza agli usi e ai costumi del paese accogliente, con un accento e una spigliatezza di uno slang americano da far invidia a molti. Maria, però, le sue origini non le ha mai volute lasciare indietro: nel 2012 a Londra fu la portabandiera del team olimpico russo e a Sochi gli venne conferito l’onore di accendere la fiaccola per i giochi invernali. Possiamo certamente concederle il beneficio del dubbio che questo “medico di famiglia” di non chiara identità possa aver collaborato con la federazione o agito da solo senza che Maria fosse pienamente consapevole degli effetti “di rimando” del farmaco stesso (farmaco peraltro consentito dalla WADA fino alla fine dello scorso anno). Ma da un’atleta di questo spessore, da una donna intelligente e sempre manager di se stessa, ci stupiremmo comunque.
IL COSTANTE FALLIMENTO DELLA LOTTA ANTI-DOPING NEL TENNIS E IL SILENZIO IMPERITURO DELL’ITF, A CUI MANCA L’ARTE DELLA COMUNICAZIONE
Al di là del caso, al di là dell’atleta in questione e di quanta irrazionalità o razionalità siamo disposti a giocarci a riguardo, il punto è probabilmente un altro: perché un farmaco deve essere dichiarato non ammesso solo dopo anni che lo si assume? La lotta al doping passa da questo crocevia: il doping sta sempre avanti di qualche anno. Successe con il nandrolone, l’epo, le trasfusioni di sangue. Nessuno vuole paragonare la sostanza a questi grossi polveroni ma il circolo “vizioso” pare essere sempre quello: non c’è abbastanza interesse nel contribuire a rendere più efficiente la lotta al doping finanziandola o potenziandola. Il tennis ha un programma di passaporto biologico nemmeno da due anni, ad esempio. La WADA collabora con l’ITF da pochi anni. Così accade anche in altri sport, dove infatti i casi di doping sono molto rari. E perché è stata Maria Sharapova a dover convocare una conferenza stampa e non prima l’ITF a farlo per comunicare una notizia di questa importanza?
IL SILENZIO DEI COLLEGHI, GLI SPONSOR CHE ABBANDONANO, IL PRIMO CASO CLAMOROSO NEL MONDO DEL TENNIS
A parte Jennifer Capriati, preda di un isterico attacco di twitterite nella reazione immediata alle parole della Sharapova, per lei rea e consapevole di tutto e meritevole di squalifica, praticamente nessuno dei “colleghi” della russa si è pronunciato, a parte Madison Keys e Jamie Hampton, che hanno scritto parole di solidarietà per un errore che giudicano “onesto”. Federer, Nadal, Djokovic, Kvitova, Ivanovic, Murray… nessuno ha voluto dire niente, specie i “big”, che forse preferiscono avere a disposizione prima tutti i fatti e le decisioni del caso. Solo Serena Williams, dopo quasi un giorno di silenzio e perché “costretta” a una conferenza stampa ha parlato di “coraggio da parte di Maria a parlare per prima”. A parlare e in gran fretta invece ci hanno pensato gli sponsor, la Nike su tutti che ha annunciato la sospensione del contratto, così come la Porsche; la svizzera TAG Heuer, invece, ha preferito non prolungare il contratto. Altri seguiranno a ruota nelle prossime ore; non ci si deve però stupire: quando un personaggio sportivo così noto è coinvolto in vicende poco chiare e controverse il danno d’immagine è molto alto e i soldi che investono gli sponsor sono assicurati fintanto che l’immagine resiste.
Per il tennis questo è il primo vero caso che abbia una risonanza mediatica così alta, che coinvolga così tanti tifosi, delusi, arrabbiati, protettivi o riluttanti ad accettare la cosa; gli effetti possono essere devastanti a livello economico e naturalmente a livello d’immagine, anche se, tra i più maliziosi c’è chi pensa, in silenzio o quasi, che si sia vol
uto trovare un capro espiatorio per mostrare una maggiore lotta al doping, al momento giusto con le analisi giuste.
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