TENNIS
Ha appena finito di confessare, sono dopata, che il suo sponsor Nike le ha fatto sapere di essere, da oggi, anche desnuda. Via il marchio, e via i milioni di dollari, annessi e connessi. Dopata e desnuda, quasi il titolo di un film. Un brutto film, per una giovane imprenditrice cui sempre è stata riconosciuta la capacità di surfare come nessun’altra sulle onde mediatiche più impetuose, fino a domarle. Talmente veloci a strapparle le mostrine, quelli della Nike (e subito dopo, quelli della TAG Heuer), che lei stessa, Maria Sharapova, bellissima fra le belle, mugolantissima fra le mugolanti, dev’essere stata colta di sorpresa. Più che dal Meldonium stesso, la molecola truffaldina, sulla quale ha arrabattato poco convinta qualche spicciolo di scuse incentrato sui problemi di salute dei familiari, proprio mentre finiscono nella lista nera tanti altri atleti, e viene da chiedersi se lo sport della Vecchia Madre Russia fosse composto solo da figli di diabetici.
Possibile si sia fatta cogliere in contropiede, Nostra Signora delle Caramelle? Proprio lei, alla quale c’era chi voleva conferire un dottorato in scienze economiche, ad honorem? Proprio l’avvedutissima Sharapova, che perde da Serena Williams sul campo per 19 a 2 e la batte negli affari per 20 (milioni di dollari) a 12, facendole fare la figura di una dilettante? Una che ebbe l’impudenza di chiedere agli Us Open l’iscrizione come Miss Sugarpova, solo per vendere le sue caramelle?
Non fosse per la notorietà di Maria Sharapova, un brand internazionale come ve ne sono pochi (o forse nessuno) nello sport al femminile, la vicenda Meldonium sarebbe da prendere a pretesto per un bell’esamino pubblico di coscienza, sia da parte dell’accusata, sia da quella degli accusatori. Ma già sappiamo che il veneratissimo nome della russa porterà in campo sia le truppe cammellate dei fans, pronti a scagionarla, a comprenderla, a commuoversi delle sue piccole dimenticanze, sia quelle ben più preoccupanti dei fondamentalisti della colpa altrui, che al grido di “non c’è perdono per chi sbaglia” si scateneranno chiedendo la squalifica a vita, il taglio della mano destra e poi anche di quella sinistra, visto che la bella mugolante è notoriamente bimane.
Invece la squalifica (certa) non sarà così dura, vedrete. Tre mesi, forse sei, non oltre. Perché le colpe di Maria, che ci sono, checché ne dica, sono pari, forse in questo caso inferiori, alla dissennatezza con cui procede questo macchinone molto burocratico e assai poco scientifico che è l’anti-doping. Come? Già lo sento, il vociare infastidito e disgustato dei santoni, dei mistici dello sport pulito. Quelli che non hanno mai saputo spiegare ai comuni fruitori dello sport che, finché ci saranno medici e chimica al soldo degli atleti, le differenze fra i “decisamente puliti” e i “sicuramente dopati” saranno minime, quasi esiziali. Almeno fino a quando, i monaci dell’antidoping, non si renderanno conto che curarsi con sette Aulin al giorno – come di recente sentivo dire per radio da un giocatore di una squadra della Capitale, impegnato a dimostrare la sua buona volontà di essere comunque in campo – non sia un eccesso pari a una compressa di Meldonium. E vabbè…
Ma torniamo alla bellissima in ambasce. Le hanno inviato per tempo (a lei, ai suoi medici… e Maria è una di quelle che lavora con un’autentica azienda di professionisti che si occupa minuto per minuto della sua vita) il dispositivo sui nuovi medicinali ritenuti dopanti, ma lei dice di non averlo letto. Possibile? Poco probabile. Difficile pensare che qualcuno, fra i suoi stipendiati, non lo abbia letto per lei. Ma si è andati avanti lo stesso. Perché? Forse nella speranza di passarla liscia, e di strappare qualche tempo in più per scovare un nuovo prodotto che aiutasse l’atleta senza risultare fra i medicinali dopanti? Il dubbio è lecito.
Così come sarebbe difficile sottrarsi all’evidenza che quel farmaco che tanti atleti russi prendono, era presente sul mercato da quindici anni minimo. Maria lo prendeva dal 2006, lo ha detto lei stessa. E dite, occorrono dieci al carrozzone dell’antidoping per accorgersi che un medicinale vada inserito nelle liste nere?
Che figuraccia… Se davvero l’antidoping viaggia con dieci anni di ritardo rispetto al doping, finiamola di prenderci per i fondelli. Significa che tutto lo sport che vediamo oggi, un domani potrebbe risultare dopato. Significa che in questo stesso momento vi sono, in ogni farmacia che si rispetti, centinaia di medicinali dopanti. Significa che migliaia di atleti ne fanno uso, consapevoli o meno. Per non dire del resto, a cominciare dalle famose macchine “rigeneranti”, più o meno a forma d’uovo.
Maria paghi il suo tributo alla giustizia sportiva. È doveroso. Ma per favore, riformate l’antidoping, rendetelo efficiente, circostanziato, al passo con i tempi, capace di evidenziare subito i dovuti distinguo fra un atleta che sbaglia e un atleta che vuole sbagliare a tutti i costi. Così com’è serve a poco.
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