TENNIS – Di ROSSANA CAPOBIANCO – Primo titolo in carriera per Nick Kyrgios, primo tassello verso una maggiore continuità? Una settimana da dominatore per un tennista accusato di essere bad boy ma uno dei pochi a saper battere top-player. L’ambizione dell’australiano lo porterà ancora più in alto di così?
E’ seduto lì, al suo solito modo. Una sedia che il tennista conosce bene, il luogo del suo breve riposo dopo qualche game. Quello in cui si riflette, nel quale si guardano le corde della racchetta e abitualmente si maledicono, in silenzio o meno, dove si sistemano le bottigliette, dove si guarda nel nulla, dove si vive la solitudine dell’essere tennista.
A Marsiglia Nick Kyrgios vince il suo primo titolo in carriera, battendo in una settimana dominante Gasquet, Berdych, Cilic. Non solo exploit, ma prove superate in serie. E’ più serio, Nick, più concentrato, appare perfino più ambizioso. L’hashtag #NKraising, che lui stesso ha lanciato due anni fa, pare avere un senso, finalmente.
Lo scorso anno si toccarono due grandi bassi ma forse il primo più basso del secondo, perché riguarda il gioco e la voglia di vincere una partita: a Wimbledon contro Gasquet, una volta che le cose non stavano andando come voleva, ha mollato. Rinunciato, palesemente. Rinunciato a rispondere, a vincere, a lottare, a soffrire per farcela. D’altronde, Nick è un presuntuoso. Nel senso buono del termine: presume, sa, è convinto di avere talento e di poter riuscire e spesso questo diventa un problema. Lo è stato in molte occasioni fin qui. L’altro basso toccato contro Wawrinka, praticamente accusato di essere cornuto in campo solo per nervosismo verso il proprio gioco, è poco elegante e per certi versi anche scorretto, ma certo c’entra molto l’incapacità di controllarsi, la gioventù, un temperamento vulcanico e poco addomesticato.
L’altra faccia della medaglia è però chiara: questa spontanea esplosività la si vede cristallina tra i suoi colpi, nei suoi colpi, con tutti i suoi colpi. Quel dritto senza preparazione, una frustata fluida, la voglia di fare male e farlo senza sforzo. La prima di servizio che ti si stampa in fronte se non ti scansi, dopo che ha baciato la linea, poco importa se centrale o esterna. E adesso, anche un rovescio più lavorato, più intelligente, grazie ad una mobilità migliorata, altro segno di una maggiore dedizione al lavoro.
Intendiamoci: Kyrgios non sarà mai il giocatore tattico e dedito al sacrificio, un esempio di umiltà per tutti. Non è nella sua natura. E allora perché snaturare un eccezionale colpitore che sta ingegnandosi per diventare anche un ottimo (magari grande) giocatore?
D’altronde l’australiano gioca a tennis seriamente da poco più di un lustro e a neanche 21 anni è già dove molti si sognano di essere. Perché ne abbiamo visti tanti, di pronti al sacrificio e involuti tecnicamente che mai riescono a scalfire le certezze dei big o di quelli appena a ridosso dei big.
Kyrgios ci riesce: da Nadal a Wimbledon a Berdych a Marsiglia, passando per Federer a Madrid. Troppo discontinuo (fin qui), certo. Ma capace di lasciarti fermo e di meravigliarti, di tirare e di non avere mai paura: sono doti che solo i grandi giocatori, tali o possibili, hanno.
E mentre se ne sta lì, nella sua sedia a fissare il vuoto quasi non sorpreso dalla vittoria di un torneo, il primo della carriera, lo sa. Forse presume ma in quella presunzione sta la differenza tra la mediocrità e la possibile gloria.
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