TENNIS – Di Lorenzo Di Caprio – Come sempre. E forse anche meglio. Passano i mesi – che iniziano a diventare anni – ma lui, Novak Djokovic, resta lì elogiato da tutti e amato da nessuno, ad imporsi dall’alto come un Demiurgo del tennis in grado di modellare il gioco a proprio piacimento su tutti i livelli e in ogni modo.
Perché l’impressione che dà è proprio questa: da più di un anno a questa parte, infatti, Nole ha monopolizzato i titoli più importanti, alzando il livello del proprio tennis ad un paio di partite dalla fine del torneo e soprattutto contro ogni avversario. Per ultimo è toccato a Roger Federer, che ci ha provato ancora una volta sfoderando colpi unici e reagendo di solo talento dopo i primi due set persi 6-1 e 6-2 in meno di sessanta minuti: a quasi 35 anni, lo svizzero ha dimostrato ancora una volta di rimettersi in gioco come se ne avesse venti, anche se a pagarne le spese è stato il suo bilancio in carriera contro il serbo (ora 23-22 Djokovic).
Troppa, comunque, la differenza tra i due: Djokovic ha impostato subito la battaglia sul suo campo preferito con scambi lunghi e dispendiosi, spegnendo sul nascere l’intento offensivo studiato da Federer per impensierirlo. Per questo, tra il numero uno del mondo ed il sesto Australian Open in carriera ora c’è solo Andy Murray, bravo ad avere la meglio dopo cinque set contro Milos Raonic: trenta precedenti (21-9 Nole lo score) lasciano immaginare la trama di una battaglia che sarà basata su corsa, profondità dei colpi e costanza.
Per Djokovic, largamente favorito nella finale domenica, sarebbe lo Slam numero 11 in carriera: tre in meno di quelli conquistati da Nadal, sei rispetto a Roger. Tra i grandi nati a fine anni ‘80 e le “rising stars” nate a metà anni ‘90 c’è penuria di papabili top-player ed il serbo potrebbe iniziare a mettere in cascina titoli Slam per scavalcare proprio i record firmati dai due avversari citati.
Che piaccia o meno, insomma, se Novak Djokovic dovesse continuare a mantenere questi livelli di gioco potremmo trovarci presto di fronte ad un predominio senza precedenti per risultati e durata temporale: al resto della ciurma, da qui a chissà quanti anni, l’arduo compito di negare al serbo lo scettro di GOAT.
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