TENNIS – Di Diego Barbiani
Siamo a Roma, anno 2013, e nel weekend di qualificazioni partecipa anche una giocatrice rumena, Simona Halep, attualmente n.66 del mondo.
Supera Alice Balducci, Daniela Hantuchova e poi, nel main draw, Svetlana Kuznetsova, Roberta Vinci e Jelena Jankovic. Da quel momento, per lei, è cominciata un’impennata che l’ha portata nel giro di dodici mesi alla prima finale Slam ed al podio del ranking WTA. Quel giorno, a Parigi, fece sudare Maria Sharapova per più di tre ore. Traccianti in lungolinea e grande cuore in ogni scambio, per poco non riusciva a fare lo scherzetto pure alla siberiana che solo all’ultimo ha potuto mettere la firma sul suo secondo Roland Garros.
Per Halep sembrava il trampolino necessario, invece, per riprovarci alla prima occasione possibile, ma prima un infortunio alla caviglia nella semifinale di Wimbledon contro Eugenie Bouchard e poi una super Lucic Baroni avevano spento il sogno Slam, almeno per il 2014.
Dopo otto titoli nelle prime due stagioni da ‘grande’, il 2015 si apriva sotto i migliori auspici. Invece, si è trasformato in breve in un incubo. Non bastassero alcune partite dove poteva raccogliere di più, è stata bersagliata da alcuni avvenimenti che l’hanno demolita pezzo dopo pezzo.
Teneva tanto a far bene in Australia, anche perché nel 2014 fu fermata nei quarti di finale da Dominika Cibulkova con un netto 6-4 6-0. Di nuovo, quest anno è arrivata a due partite dalla finale senza grosse difficoltà. Contro Ekaterina Makarova, però, un nuovo 6-4 6-0 la rispedisce a casa. Ci rimase malissimo, tanto che durante il torneo di Dubai, poi vinto in finale contro Karolina Pliskova, dichiarò che non riuscì a dormire per diverse notti ripensando a come aveva sprecato l’occasione per la prima semifinale a Melbourne con una partita disastrosa.
Dopo aver ritrovato un po’ di fiducia con la bella trasferta negli Emirati, la notizia del suicidio del cugino. Erano i giorni prima di Indian Wells. Decise comunque di giocare, forse anche la lontananza da casa la teneva lontana da alcuni difficili momenti a casa. Al primo turno contro Daria Gavrilova perse 6-1 il primo set, dove era netta la sensazione che non riuscisse a concentrarsi. Alla fine, trovata un po’ di tranquillità e grazie a qualche situazione favorevole nelle ultime sfide, ha vinto il torneo. Serena Williams si ritirò mezz’ora prima della finale, Jelena Jankovic sprecò l’impossibile nella finale e la rumena poté conquistare il primo Premier Mandatory della carriera.
Viste le premesse, la trasferta nord-americana andò molto bene. A Miami altra semifinale, con la sconfitta in tre set tirati contro la n.1 del mondo. Un nuovo, grave, inconveniente, però, era dietro l’angolo. Tornata in Europa, partecipa al WTA Premier di Stoccarda ed il giorno dopo la vittoria su Garbine Muguruza arriva la notizia delle minacce di morte.
Un pazzo, tale Jesper Andreassen (la WTA impose subito il blocco alla divulgazione delle notizie. Non si capì bene se questo fosse un ‘nomignolo’, se Jesper Andreassen fosse davvero Jesper Andreassen, se scrivesse realmente dalla Danimarca o se avesse mascherato l’ID del computer), aveva perso la testa per la rumena ed alla notizia (falsa) di un fidanzamento ufficiale non ci vide più, cominciando a scriverle che sarebbe arrivato a Stoccarda per ucciderla.
Simona, in quei giorni in Germania, cominciò a girare con quattro-cinque uomini della sicurezza, che arrivavano a controllare addirittura i tubi delle palline usate dalle giocatrici che si allenavano sul campo centrale prima di lei.
Da Stoccarda, la sua stagione crollò. Fino a lì, il suo record di vittorie-sconfitte in stagione era di 27-4 (quasi una sconfitta ogni sette vittorie). Dal torneo successivo il scese fino ad un 26-13, una sconfitta ogni due vittorie. Tolta la trasferta nord-americana di agosto, il dato si abbassa ulteriormente ad un preoccupante 10-10, ogni vittoria era seguita da una sconfitta: tolti Toronto, Cincinnati e US Open, è come se avesse sempre perso al secondo turno.
Solo a New York, però, fu in grado di ammettere pubblicamente la situazione. L’episodio di Stoccarda era ancora vivo nella sua mente. Nonostante le scuse di questo maniaco, non era riuscita a ripartire. A fine stagione, per completare, un infortunio al tendine d’achille ha guastato la sua preparazione al Master WTA.
Un anno terribile sotto diversi, da cui però poter crescere sotto altri aspetti per fuori ancora più forte. In pubblico difficilmente dirà di ambire al n.1, o ad un trionfo in uno Slam, cercando sempre di mantenere i piedi saldi a terra come fatto finora e come è anche il suo carattere. Sotto sotto, però Ora però serve qualcosa di più e la rumena, a quanto sembra dalle foto che appaiono sui suoi profili social, è davvero carica.
Per iniziare, si è tinta i capelli abbandonando il castano in favore del moro. Come una ragazza che vuole dare un taglio netto col passato e ricominciare, riprendere in questo caso, la giusta strada. Ripartirà dall’Australia il suo sogno Slam. Nel 2016 non si darà il minimo margine di errore, non vuole ripetere il cammino del 2015. Una sola semifinale e due uscite nei primissimi turni non sono accettabili se vuole ambire a fare un nuovo (ed importante) passo. Per riuscire nel suo intento ha chiesto aiuto a Darren Cahill, che dopo un periodo di collaborazione ha ufficializzato il ruolo di coach a tempo pieno per il 2016.
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