TENNIS – Roger Federer è stato intervistato durante lo scorso torneo di Parigi-Bercy per conto del programma televisivo francese ‘Stade 2’.
Lo svizzero ha ripercorso un po’ tutta la sua carriera («ricordo fin troppo bene il mio primo match in assoluto da professionista. Fu a Gstaad nel 1998, persi 6-4 6-4 da Lukas Arnold») ma se deve dire quale fu il giorno in cui si convinse, quasi, di poter diventare una leggenda di questo sport non ha dubbi: «La vittoria su Pete Sampras sul Centre Court di Wimbledon è la mia partita della vita». I cinque set con cui si impose sul sette-volte vincitore dei Championships non possono che rappresentare il momento dell’esplosione assoluta della sua stella, destinata poi a prendere il comando del circuito ATP nel 2004, ad inizio febbraio, ed a non lasciarlo più fino al 18 agosto 2008 per un totale di quattro anni e mezzo in testa alla classifica senza un attimo di sosta, numerosi successi in campo sportivo e riconoscimenti da tifosi ed addetti ai lavori. «Mi dicevo: ‘Se batti Sampras puoi battere chiunque’. Poi lo sapete, lui era un mito ed io ad un paio di mesi dal mio ventesimo compleanno, fu la realizzazione di un sogno che avevo fin da bambino».
Da semplice adolescente di belle speranze a persona adulta, matura e consapevole, con tanto di moglie e quattro figli. Prima i capelli colmi di meches bionde, poi rosse, poi lasciati crescere fino a diventare anche troppo lunghi (per come siamo abituati a vederlo). Federer, quasi, ride di quello che era da teenager: «Ero un ragazzo, mi divertivo ad essere trasgressivo. Ora però sono cresciuto e curo molto il mio aspetto».
Il prossimo anno sarà il diciottesimo da professionista. «Continuo perché mi piace troppo giocare, finché c’è quella ho anche la sensazione di poter fare grandi cose, pormi obiettivi importanti». Infine una battuta sul successo al Roland Garros del 2009. Un solo titolo a Parigi, ma a parlarne ora viene anche da pensare che con il dominio incredibile di Rafael Nadal (nove vittorie in dieci anni) quel trionfo assume ancora di più il valore dell’impresa perché lo svizzero ha avuto una sola vera occasione in dieci anni per vincere quel trofeo, e non ha fallito. Ripensando a quei momenti, Federer scherza: «Quel giorno piansi di gioia perché fu un traguardo per me troppo importante. Avrei anche potuto ritirarmi e sarebbe stato tutto perfetto, eppure ho continuato togliendomi molte altre soddisfazioni».
E per il 2016? «Guardo a Rio, ma non voglio mettermi pressione per la medaglia d’oro: ne ho già vinta una a Pechino con Stan Wawrinka e quattro anni dopo a Londra ho conquistato un argento. Se gioco è per vincere una medaglia, chiaro, ma lo faccio per la Svizzera e non per me».
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