TENNIS – LONDRA – Di DANIELE AZZOLINI. Quell’uomo solo al comando, è ormai talmente lontano che gli inseguitori non lo vedono più. È sparito dalla loro visuale, non sanno nemmeno quanto gli siano finiti dietro. Minuti? Mezze ore? Sanno solo che sono secondi, lontani, e che lui ha già vinto questa tappa e vincerà anche le prossime. Sempre che la sfortuna non ci metta becco.
A questo siamo? Sì, a questo. Federer compreso, che anche in questa finale londinese ha dato corpo al sogno di sempre, irrinunciabile quanto effimero: che qualcosa di incantevole possa prendere forma dalla sua arte, che una sua invenzione possa interrompere la corsa altrui e ricondurre il gioco a un confronto plausibile, e non sfacciatamente già scritto. Siamo al punto che chi insegue può sperare ormai solo nel fato.
Nole ha scherzato Nadal in semifinale, e ha fatto quasi lo stesso con Federer nell’atto conclusivo. Checché ne pensi il pubblico, la distanza s’è fatta grande. Un baratro profondo. Federer si è procurato tre occasioni nell’anno, per spezzare la tirannia: Wimbledon, Us Open e ATP Finals. La sua stagione, se vi va di brindare con un bicchiere mezzo pieno, è tutta qui.
Il dato di fatto, invece, è che quelle occasioni le ha fallite, in termini via via sempre più imbarazzanti per uno che ha saputo condurre il gioco per tre lustri tennistici. Oggi, il divario è troppo ampio, per credere che i tre match vinti quest’anno, negli otto confronti disputati, possano contenere una speranza di sovvertire il dominio. Il “gioco libero” di Federer, la capacità di inventare nuove soluzioni, e di impadronirsi del match pennellando talento sulla tela, funziona se Djokovic non si mette lì a fare il suo gioco carogna, contro il quale – al momento, e chissà per quanto – non c’è scampo.
Oggi Djokovic incarna il concetto stesso di Minimo Margine di Errore. Egli è la Grande Certezza. È l’Assolutismo fatto Tennis. È fatto di una sostanza che non invita a voli pindarici. Anzi… Qualunque banalità vogliate prendere in considerazione, a spiegazione di un dominio che sta assumendo contorni illimitati, per non dire assolutistici, da monarca vero, potete facilmente applicarla a Novak Djokovic e gli si adatterà alla perfezione. Egli è il Grande Contenitore di tutto ciò che possa passarvi per la mente. È vincente in ogni momento del match. Anche quando le cose vanno male.
È solido al punto da indurre i concorrenti a non esprimersi al massimo. Vince anche quando non gioca al meglio. Vince e non convince… E che nessuno dica che non abbia talento! Chi altri potrebbe giocare quelle sequenze di colpi ai limiti della raffica pugilistica? Potremmo continuare, e finiremmo per descrivere Djokovic in venti o trenta modi fra loro diversi, ma tutti conosciuti, tutti certificati e nessuno in grado di sorprendervi.
Provateci anche voi e alla fine avrete un’immagine del numero uno talmente esatta da apparirvi in “3D”. Mille motivi che tutti insieme compongono la forza del Djoker, l’ineluttabilità delle sue vittorie, l’implacabilità del suo procedere. Il potere. Il dominio. La noia che essi portano con sé. Èd è inutile dirlo, anche la preoccupazione di un 2016 senza più avversari.