TENNIS – Di Diego Barbiani
Finisce la Coppa Davis 2015 con l’immagine di Andy Murray che ha condotto (quasi) da solo la Gran Bretagna ad un trionfo che mancava dal 1936.
L’ennesimo tassello nella carriera dello scozzese, che per quanto venga considerato sotto vari Roger Federer, Novak Djokovic e Rafael Nadal ha comunque dalla sua un palmares di enorme rispetto con titoli dello Slam, una medaglia d’oro olimpica in singolare, una d’argento (doppio misto) ed ora anche il titolo di campione del mondo in una competizione a squadre dove lui faceva per quattro. Non vuole essere ironia, ma in tutti i quattro incontri disputati era Andy quello che doveva portare a casa i match in singolare e, all’occorrenza, anche in doppio. E non ha mai tradito, con un 11-0 che era riuscito solo a pochissimi altri grandi del passato. Federer, nonostante il successo con la sua Svizzera lo scorso anno, ha perso il primo singolare giocato nella finale contro la Francia. Djokovic, nel 2010, ha perso in semifinale il doppio contro Berdych e Stepanek. Nadal è l’unico degli altri tre imbattuto, ma non è mai stato chiamato per disputare il doppio perché la Spagna ha sempre avuto una squadra di assoluto livello ed oltre a due singolaristi come il maiorchino e David Ferrer, in doppio hanno potuto vantare su Fernando Verdasco e Feliciano Lopez.
Promosso a pieni voti, dunque, Murray e la sua nazionale che ritrovano una gioia che mancava dai tempi di Fred Perry. Un po’ come accadde sempre ad Andy quando gli si chiedeva di vincere Wimbledon, impresa riuscitagli, in un certo senso, per due volte: oltre al 2013, non va dimenticato come anche l’oro olimpico fu conquistato nel tempio del tennis battendo Djokovic prima e Federer poi.
Al Belgio, rivelatosi alla fine degno avversario, un 8 che fa la media con il bel weekend di Ghent ed il patto con la dea bendata che gli ha offerto un percorso quasi spianato. Brutto da dire, perché nonostante tutto loro con la Svizzera hanno dovuto sudare il successo fino alla quinta e decisiva partita e con l’Argentina hanno recuperato da 1-2 dopo la seconda giornata, però per una nazionale che era destinata, per parola dello stesso David Goffin, ‘ad una vetrina importante ma senza grandi aspettative’, trovarsi catapultata fin lassù è stato un evento impensabile. Alla fine, tutto sommato, possono essere contenti. Goffin ha saputo portare la sfida fino alla domenica battendo Edmund ed assieme a Steve Darcis sono stati un break avanti nel terzo nel doppio del sabato. Contro Murray c’era poco da fare, se non lottare ed uscire dal campo senza rimpianti, al massimo battere le mani all’avversario. Cosa che è avvenuto con un ultimo punto da urlo.
Bene anche Australia (9) e Argentina (7,5). Un voto, per i ragazzi di Willy Masur, che vale soprattutto perché era l’ultimo anno di Lleyton Hewitt, prossimo a sedersi sopra la panchina con il nuovo ruolo di capitano, ed hanno già messo come singolaristi i loro migliori giovani. La Repubblica Ceca, priva di Berdych e Stepanek ma con Jiri Vesely, a proposito di giovani talentuosi, è stata la prima vittima di due giovani ‘terribili’ come Thanasi Kokkinakis e Bernard Tomic. Poi hanno rimontato il Kazakistan dopo lo shock della prima giornata come non avveniva dal 1920. Infine Hewitt in coppia con Sam Groth ha fatto penare i fratelli Murray a Glasgow. E’ stato l’ultimo vero ruggito dell’ex n.1 del mondo, che ha lottato per cinque set mancando di poco la possibilità di mettere l’ennesima firma su un’impresa che, chissà, forse avrebbe spinto quel trofeo verso una direzione ben diversa. Ai giocatori dell’Albiceleste è più un voto di incoraggiamento, visti gli sforzi che hanno dovuto fare privati del loro leader, Juan Martin Del Potro, e con Juan Monaco prima in crisi di risultati poi vittima di un brutto infortunio. Hanno dovuto schierare Federico Delbonis (eroe nella prima, interminabile sfida contro il Brasile) e Leonardo Mayer come singolaristi, con Carlos Berlocq e lo stesso Mayer come doppisti. Hanno compiuto un piccolo capolavoro.
Bocciata la Serbia (5,5), che senza Djokovic ha provato a mettere in campo forze fresche (nel caso, Filip Krajinovic) rimediando però una sonora batosta in Argentina dove, però, fu decisiva la sconfitta di Viktor Troicki nel primo match contro Delbonis dopo aver vinto comodamente i primi due parziali. Male anche la Francia (5), forte all’esterno ma con alcune crepe all’interno che hanno spesso minato la tranquillità del team. Un problema che si era intravisto già con Guy Forget, quando c’erano i malumori con Gilles Simon, continuato poi con Arnaud Clement e le grandi critiche per la scelta di giocare su terra contro la Svizzera (ma siamo sicuri sarebbe andata diversamente su un’altra superficie?), la scelta di non schierare Simon al posto di Jo Wifried Tsonga infortunato al gomito, lo stesso Tsonga che poi, una settimana dopo, era in campo per l’IPTL. Proprio lui è stato preso di mira da Michael Llodra per il potere decisionale che aveva nello spogliatoio francese appena dopo l’allontanamento, con qualche polemica, di Clement dalla panchina per Yannikh Noah. Ancora peggio (4) all’Italia, grande delusa della manifestazione soprattutto dopo la semifinale raccolta nel 2014. La sconfitta di Astana è ancora difficile da digerire. Soprattutto, i sei set vinti e zero persi da Mikhail Kukushkin, vero uomo-Davis della squadra asiatica (fu lui a dare il punto decisivo sul 2-2 in Repubblica Ceca per il primo storico successo del Kazakistan nel World Group, anno 2010). Difficile anche ripensare a quel quinto match e l’incubo vissuto da Fabio Fognini contro Alexandr Nedovyesov, che ha giocato un match incredibile nonostante le più di 100 posizioni che lo separavano dal ligure. Testa al 2016, ad un primo turno in casa contro la Svizzera probabilmente priva delle sue super-star. Perché con una finale tra Gran Bretagna, che nel 2010 si salvava ai play-out per non retrocedere in serie-D ed oggi è campione del mondo, e Belgio, tornata all’ultimo atto dopo 111 anni, bisogna davvero credere nei sogni. Anche con un pizzico di fortuna.
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