TENNIS – Di Daniele Azzolini
E così, Flavia si fa da parte, chissà quanto felice di farlo, eppure convinta che i tempi siano giusti, scanditi dai pensieri che non inseguono più solo campi e palline, dai muscoli esausti per i quindici anni trascorsi di gran carriera, da un orologio biologico che ha cominciato a rimproverarla di aver fatto le ore piccole per mettere al mondo i tre figli annunciati in tante interviste.
Si tira fuori, Flavia nostra, senza che sia scemato l’amore per il tennis, ma in nome di quell’urgenza che viene da dentro e ti spinge ad affrontare la vita inseguendo altre priorità. Ed è un momento bello e insieme straziante, umanissimo e delicato, eppure così comune, così visto, così appropriato. Lo abbiamo scorto negli occhi dei nostri figli, fra le ombre dei loro pensieri, sorridenti alle nuove prospettive e preoccupati di ciò che stavano lasciando, quella giovinezza che si fugge tuttavia per un domani di cui non v’è certezza. Li abbiamo compresi per questo, e sostenuti, consigliati, accuditi e amati ancora di più. Lo stesso facciamo con Flavia, augurandole molti anni di nuovi sorrisi, diversi da quelli che ci ha donato sul campo, ma egualmente abbaglianti.
Dispiace che il tennis perda una come lei, ci mancherebbe… Ciononostante, l’unico antidoto che mi sento di assumere, contro ogni nostalgia, è dirmi… Pazienza! È giusto così. A trentatré anni, Flavia non ha bisogno di mostrare d’esser diventata donna, ha semplicemente scelto di farlo senza più il supporto di una racchetta, misurandosi con la vita di fuori, che vuol dire amore e figli, ma anche bollette da pagare e incazzature quotidiane. L’ha fatto con semplicità, ed è questo che conta e le fa onore, ben più del numero otto in classifica e della vittoria in uno Slam. Quella stessa semplicità che è toccata in sorte a milioni di esseri umani, ma non è scontata, tanto più dopo una vita di sport in vetrina, di applausi che non sentirà più, di interviste che via via le proporranno solo a ricordo dei bei vecchi tempi. Accettando i termini del nuovo contratto che è disposta a fare con se stessa, Flavia porta a termine un percorso che tutti (molti, quanto meno) compiono ma che non potrebbe risultare identico per tutti. Non c’è eroismo, in questo. C’è vita, umanità. E c’è la voglia di non restare a mezza via. Peter Pan per tutta la vita, o forse Petra in questo caso? Se la conosco, non è da lei. E dunque, benvenuta Flavia, nel dopo-Flavia…
Da un po’, ormai, stava camminando sul ciglio dei suoi stessi limiti. E chissà quante volte si è chiesta, negli ultimi mesi, settimane, giorni, se davvero ne valesse la pena mettere un piede in fallo e ritrovarsi a rimpiangere di non aver dato ascolto a quella vocina che da tempo le diceva di pensare ad altro. Il tennis non c’entra. Resterà un doveroso rimpianto, cosparso di ricordi, viaggi, fatiche, vittorie e sconfitte. Ma anche un amico che le riscalderà il cuore, e continuerà a tenerle compagnia. Se le domande di oggi si limitassero a dimostrare che Flavia avrebbe potuto continuare, magari fino a quei Giochi Olimpici che il presidente Malagò non ha ancora smesso di proporle, la risposta sarebbe affermativa. Gli ultimi match l’hanno vista qualche volta tentennante, altre priva di slancio, ma quando ha sentito in pericolo l’aggancio al Masters, Flavia ha trovato dentro le energie che servivano. Segno che la tennista non è ancora svanita. Ha chiesto un invito a Mosca, ha vinto il match che la faceva salire sull’aereo per Singapore, e qui si è di nuovo estraniata, contro la Halep, per poi reagire, contro la Radwanska. Il terzo incontro le ha posto di fronte una Sharapova nei suoi cenci migliori, e alla fine i conti non sono tornati per un set, il più esile tramezzo che divida il seguito di un’avventura e la sua fine. Ma ne è valsa la pena, arrivare fin lì, e sfidare un’ultima volta, con tutta la sua naturale solarità, quel tennis costruito su muscoli e centimetri nel quale anche le emozioni e le esternazioni appaiono imparate a memoria, del quale Maria è un’interprete a dir poco compulsiva. E Flavia ha provato a vincere, nonostante tutto. Ma nel farlo, nell’andarci vicino almeno nel primo set, ci ha ricordato che non è la tennista a ritirarsi dalle scene, bensì la donna che ha fatto tennis per quindici anni, e che ora ha voglia di fare altro. Per i prossimi cento…
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