TENNIS – US OPEN – Di ROSSANA CAPOBIANCO – L’ultima sconfitta di Rafa Nadal, avvenuta per mano di un grande Fabio Fognini, ha evidenziato per l’ennesima volta in stagione, ma stavolta più clamorosamente, di come Nadal subisca rimonte e perda intensità mentale con l’andare del match, permettendo agli avversari di rientrare in partita. Una realtà che però lo spagnolo sembra non volere accettare.
Berrer, Berdych, Fognini, Raonic, Verdasco, Djokovic, Fognini, Murray, Wawrinka, Djokovic, Dolgopolov, Dustin Brown, Nishikori, Feliciano Lopez, Fognini.
Questi sono i nomi dei “carnefici” di Nadal in questo 2015 amarissimo per lo spagnolo, che terminerà per la prima volta dopo dieci anni una stagione senza aver vinto uno Slam. Non che questo US Open si presentasse per lui ricco di promesse e speranze, però probabilmente perdere al terzo turno da Fognini avanti di due set e un break non era esattamente in programma.
Intendiamoci: Fabio ha giocato una partita straordinaria e batterlo negli ultimi due set sarebbe stato improbo per chiunque ma quando Rafa ha un così ampio vantaggio, il vero Rafa, non lascia mai l’avversario rientrare in partita una, due, tre volte. E’ accaduto e forse per questo l’ultima sconfitta di questa stagione fin qui rappresenta la peggiore per Nadal, sebbene quest’anno situazioni simili gli siano già capitate, ma non in maniera così clamorosa e non durante un torneo dello Slam.
Un Nadal che, almeno a parole, non appare lucido: “Ha vinto lui, non ho perso io, la cosa positiva è che io sia rimasto a lottare con la testa fino alla fine”.
Ora: abbiamo già detto dei meriti di Fognini, abbiamo capito che questo non è il miglior Nadal quanto a fiducia, ma raccontarsi alcune cose per rifiutarsi di accettare di aver perso intensità e cattiveria non gli fa probabilmente bene, per l’immediato futuro.
Non è così strano che un campione dello spessore di Nadal fatichi ad accettare questa realtà; nel 2013 era toccato a Federer che per molti mesi -sebbene sapesse dei suoi cronici problemi alla schiena- cercava di sdrammatizzare e di minimizzare. Finché, proprio agli US Open dopo la sconfitta contro Robredo (ma in realtà anche prima), confessò: “Non posso non ammettere di essermi auto-distrutto oggi. Mi sono battuto da solo”. E a guardare quel match, solidità di Robredo a parte, è più che vero. E da allora, da quando Roger ammise di stare entrando in un pericoloso stagno di scuse e di paure, decise di cambiare: via Annacone, amico e coach a cui era molto affezionato ormai. Via la vecchia preparazione, via i vecchi esercizi: tutto nuovo, programma e coach, nuova linfa, nuova racchetta, nuovo tutto.
Ed è probabilmente quello che Nadal dovrebbe iniziare a fare, sebbene a differenza di Federer non dispone di moltissimi altri piani tattici a cui fare affidamento e che possano costituire la base del suo gioco; tentare però è doveroso. Ma davvero quasi impossibile se si pensa a Toni Nadal e a tutto il resto del Team come una vera famiglia creatrice del Nadal che conosciamo.
“Accept” è una parola che Nadal ripete spesso durante le ultime conferenze stampa. Accettare il risultato, la sconfitta, il valore dell’avversario. Quello che sembra però, a meno di dichiarazioni di facciata legittime, è che abbia imparato solo a perdere dando il merito all’avversario. Nobile, non sempre vero.
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