TENNIS – Di Diego Barbiani
NEW YORK. Dopo quattro anni dal primo ed unico sigillo, Novak Djokovic torna padrone di New York. Il n.1 del mondo si è imposto 6-4 5-7 6-4 6-4 su Roger Federer, che perde la terza finale consecutiva in un Major da Wimbledon 2014, in tutte affrontando il rivale serbo.
Festeggia Djokovic, che con questo trofeo tocca quota 10 titoli dello Slam in carriera, di cui solo tre in questa stagione. L’ultima volta? L’anno in cui per tutti divenne ‘Robo-Nole’, nel suo magico 2011. Come quella volta, se proprio gli si deve trovare un neo, bisogna tornare a maggio quando a Parigi fu sempre uno svizzero a fermarlo. Allora Federer, quest anno Stan Wawrinka.
Stavolta ha dovuto vincere una sfida ancor più difficile, mettendo al tappeto non solo Federer ma uno ad uno tutti gli spettatori del centrale. Da metà del secondo set l’Artur Ashe è diventato una polverirera. Il tifo per l’uomo al di là della rete ricorda molto la frase “Federer non è svizzero, ma appartiene ad ogni nazione dove scende in campo”. Così New York l’ha reso statunitense e l’ha sospinto come o forse più dei propri connazionali per ribaltare un pronostico che sembrava segnato. Sembra brutto citare il fattore anagrafico, ma a conti fatti quando Djokovic è in campo si sa che può tenere testa fisicamente per almeno tre ore senza avvertire eccessiva fatica. Vincere il primo set sarebbe stato utile, comunque non definitivo. Invece Novak è partito subito fortissimo, mentre Federer ha balbettato per troppo tempo, lasciandolo scappare via.
Il serbo arrivava costantemente a palla break. In sei partite disputate prima della finale, Federer ne aveva concesse appena quindici. Solo nei primi due turni di battuta dell’incontro ben sei. Era senza la prima di servizio e con un dritto che già faceva presagire quanto poi sarebbe avvenuto. Altro problema che ha condizionato (in negativo) la finale dello svizzero sono state le sole quattro palle break convertite su ventitré a disposizione, comprese le tre nel finale che avrebbero incredibilmente riaperto tutto.
La vera sfida tra i due è cominciata nel secondo set, quando Djokovic ha annullato cinque palle break nel primo turno di battuta. Il pubblico, fiutando il maggiore equilibrio, ha cominciato il suo show negativo infastidendolo senza freno. Sbagliava qualcosa e volavano applausi, lanciava la palla per servire e urlavano per dargli fastidio. Non era facile essere nei suoi panni, Novak Djokovic n.1 del mondo, con tutto il tifo contro sul centrale più grande e rumoroso (con il tetto il problema si è amplificato) del mondo. In alcuni frangenti, leggasi decimo game del secondo set, è sembrato esser preso a cazzotti. Era un turno di battuta estremamente delicato ed i venti secondi che trascorrevano tra un servizio e l’altro dovevano sembrare, per lui, eterni. Alzava lo sguardo e vedeva solo persone inneggiare al suo rivale. Lui era solo contro tutti. Ed in questo momento di grande difficoltà ha tirato fuori due attributi enormi, tenendo sempre un ritmo forsennato negli scambi, attaccando in lungolinea, manovrando da fondo e trovando come sempre grandissima profondità. Non solo, perché se c’è qualcosa per cui Djokovic si riconosce è la sua condizione atletica, la sua bravura nel coprire il campo e rigiocare colpi sempre intelligenti, sempre in pressione.
Federer non riusciva a tenere quel ritmo esagerato. Non tanto all’interno del singolo scambio, ma più in un’ottica totale dell’intero incontro. Doveva uscire da quella trappola, costruirsi il punto in maniera diversa. Già. Ma vallo a fare… Se poi capita che, sul secondo set point nel secondo set, una palla comodissima di dritto da sopra la rete viene spedita fuori di mezzo metro con il serbo già a testa bassa per aver ‘dato su’ il set, si capisce come la giornata per lui fosse davvero negativa. E’ riuscito a prendersi quel parziale al quarto tentativo, sfondando col rovescio, ma per la fatica fatta il proseguo del match era sempre più in bilico. Sembrava avesse fatto una nuotata da Genova a Palermo, e per poco non si trovava comunque sotto di due set.
Ad inizio del terzo c’è stato il vero momento in cui Federer doveva sfondare, ma sul 4-3 in suo favore non ha convertito due palle break perdendo poi la battuta con una stecca di dritto nelle fasi decisive del game. Altre due palle break mancate sul 5-4 e servizio Djokovic sapevano di resa e, come a volerlo confermare, nel quarto parziale Djokovic si è issato fino al 5-2 e servizio. “C’è una qualità indelebile, però, che Federer ha: è un campione, ed anche sul 5-2 per me mi ha fatto sudare fino all’ultimo punto” ha detto il serbo durante la premiazione, perché se l’è vista davvero brutta. Uno scatto d’orgoglio ha portato Federer a riprendersi il primo break, accorciare sul 4-5 ed ad avere tre palle per l’incredibile aggancio. Se lo svizzero è un campione, il serbo non ha nulla da invidiare e da grande ha annullto una ad una tutte le tre occasioni. Così, al primo match point, ha alzato le braccia al cielo e festeggiato l’entrata in doppia cifra negli Slam vinti agganciando Bill Tilden diventando così il settimo giocatore con più Major in bacheca, ad uno solo da Rod Laver e Bjorn Borg, due da Roy Emerson, quattro da Rafael Nadal e Pete Sampras, sette da Federer.
Una menzione d’onore, infine, all’arbitro. Eva Asderaki Moore è stata la prima giudice di sedia femmina a dirigere la finale maschile dello US Open. Ebbene, è stata perfetta. Carattere e professionalità enormi, prima per tenere a bada il pubblico e poi per fare overrule impeccabili in momenti molto molto delicati dell’incontro.
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