TENNIS – Di Andrea Scodeggio
Sono passati quattro giorni da quel splendido sabato 12 settembre, quando Flavia Pennetta ha sollevato al cielo il trofeo degli Us Open, sotto lo sguardo della sua amica e rivale Roberta Vinci e gli oltre 20000 spettatori di New York.
A ripensare l’inizio di questa storia non ci sarebbe mai immaginati un finale così entusiasmante dei colori italiani, specie per Flavia che era arrivata qui con risultati piuttosto sconfortanti nei master di Toronto e Cincinnati, oltre al torneo di New Haven. Eppure ha vinto, con merito e costruendosi questo successo incontro dopo incontro.
Ho avuto la fortuna di poter assistere alla prima settimana di questo suo straordinario torneo e di vedere la crescita esponenziale di Flavia nel corso della competizione, imparando anche a conoscere qualche aspetto della sua personalità. Ovviamente poco, si parla sempre di una sola settimana, ma sufficiente per farmi un’idea in base a ciò che ho visto.
Innanzitutto la serenità, percepita fin da primi colpi sul campo d’allenamento, il cosiddetto “Practice 2”. Ero uscito dalla sala stampa e la prima cosa che si notavano erano proprio i campi d’allenamento, appena posti di fronte alla struttura dell’Arthur Ashe Stadium, e come prima atleta mi sono trovato davanti proprio Flavia. La si vedeva spensierata, pronta a scherzare e per nulla intimorita da dover difendere i quarti di finale dello scorso anno. Una giocatrice senza pressioni particolari addosso, arrivata forse senza tante aspettative e per questo concentrata ad andare in campo e fare il suo dovere.
La componente che l’ha distinta in quella prima settimana era proprio la concentrazione, saper restare aggrappata sempre alla partita, convinta che prima o poi l’avversaria sarebbe calata. E’ accaduto con Jarmila Gajdosova, poi con Petra Cetkovska e nel mezzo c’è stata la convincente vittoria contro Monica Niculescu.
Le critiche che ricordo più su Flavia sono sempre state sulla mancanza di personalità, di non avere in sostanza gli attributi necessari per poter avanzare in tornei così prestigiosi, nemmeno quando il tabellone sembra sorriderti. Negli anni le persone cambiano, maturano e in conferenza stampa si assisteva ad una Flavia decisa nel rispondere, sapiente nell’ammettere gli errori in varie situazioni di gioco e per nulla intimorita da nessun tipo di critica o considerazione negativa, dando l’impressione di essere molto esperta su cosa dover dire. L’età e la frequenza sul circuito aiutano molto, dosando le giuste parole, ma anche di saper essere spiritosa quando lo riteneva opportuno. In sostanza gli attributi, metaforici, c’erano e maggiori di tanti suoi colleghi maschi.
Appena le si chiedeva sulla sua vita privata, naturale parlare di Fognini e del match con Nadal, non si mostrava molto esaustiva, preferendo tenere le emozioni più sentite per sé. Giusto e legittimo.
Infine il ritiro. Sono rimasto colpito anche io dalla dichiarazione, ma ripescando alla memoria un piccolo indizio lo aveva già concesso. In una conferenza stampa ci aveva detto questo: “Non è facile mantenere la stessa grinta per tutto l’anno, ci sono periodi diversi ma qui trovo sempre le forze per fare bene”. A rileggerle adesso un certo effetto lo fanno, ma questo finale è degno della sua carriera.
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