TENNIS – Di Diego Barbiani
«Non ho ancora visto Serena Williams desiderosa di allenarsi» ha dichiarato Patrick Mouratoglou in un’intervista telefonica per EspnW. Il coach francese, artefice della rinascita sportiva della statunitense partita nel 2012, con estrema sincerità ha rivelato che la n.1 del mondo non si è ancora ripresa da quella che in molti hanno definito come ‘la sorpresa più clamorosa della storia del tennis’.
Immedesimandoci nei suoi panni, viene facile immaginare come si senta. ‘Io? Ma chi me lo fa fare?’ potrebbe essere questo un dialogo che la statunitense riproduce nella sua mente. Dopo l’Australian Open ed il Roland Garros, tutti hanno pensato ad un Grande Slam già fatto. Veniva spontaneo, c’è poco da fare. Quando si rappresenta una potenza straripante ed intorno la concorrenza sembra un po’ a pezzi, con due Slam da giocare e già vinti numerose volte in passato, l’acquolina alla bocca c’era già: per lei, per riscrivere la storia dello sport, per tutti gli altri per celebrarla a dovere come meritava. Non si sta e non si vuole discuterne il valore, paragonarlo ad altre giocatrici o altro, ma completare il Grande Slam in stagione era impresa alla sua portata, con l’occasione enorme di ripetere un’impresa verificatasi solo in tre occasioni, nella fattispecie con Maureen Connoley (1953), Margaret Smith Court (1970) e Steffi Graff (1988), l’unica delle tre ad aggiungerci anche la medaglia d’oro olimpica.
A Wimbledon si era salvata contro Heather Watson, contro Victoria Azarenka, ed aveva poi dominato la finale contro Garbine Muguruza. A New York, quando la pressione è aumentata all’inverosimile partita dopo partita, ha rischiato con Kiki Bertens, ha ceduto un set a Bethanie Mattek Sands, uno alla sorella Venus. Però era in semifinale, da favorita assoluta. I prezzi della finale femminile erano schizzati di colpo a 1500 dollari. Follia. Gli organizzatori del torneo avevano da giorni modificato il cerimoniale della premiazione inserendo un’orchestra che avrebbe dovuto celebrare la grande impresa, poi dovettero rimetterci mano sopra (anche se non lo riveleranno mai).
Le avversarie rimaste, a parte Simona Halep in una circostanza, non l’avevano mai battuta. Per di più a lei toccava la semifinale più agevole, sulla carta. Ed invece il mondo viene capovolto. Se proprio si voleva trovare ‘The One’ che le avrebbe messo i bastoni tra le ruote, nessuno mai avrebbe pensato a Roberta Vinci, nemmeno lei stessa.
La voglia di evadere da quel campo, in quel momento simbolo per lei di una prigione in cui soffocare a poco a poco, era sempre più grande. Ha provato ad uscirne con la forza, ma non aveva la tranquillità e la lucidità necessaria. Avrebbe volentieri fatto a meno della conferenza stampa, già un paio di giorni prima aveva risposto ad un giornalista “onestamente, vorrei essere a rilassarmi nel letto piuttosto che rispondere alle vostre domande” sintomo che non tutto stava funzionando nella maniera giusta. Creando una metafora col poker texano, era quel momento tra la quinta carta e la fine della mano, quando hai coppia d’assi in mano ed in tavola ci sono un due ed un sette, ma soprattutto un altro asso ed un cinque, e devi decidere cosa fare. Sei la giocatrice più forte, vai ‘all in’ mettendo in campo tutto quello che hai, ma l’altro, il destino carogna, non ha paura di sfidarti. Gira le carte, un tre ed un quattro, è una scala contro il tuo tris. Gioco, partita, incontro. Può avere inizio la frustrazione, la rabbia, l’amarezza, lo sconforto.
Così torniamo alle parole del suo coach, «Non ho ancora visto Serena Williams desiderosa di allenarsi, è ferma dalla semifinale dello US Open persa contro Roberta Vinci». «C’è rimasta malissimo – ha proseguito Mouratoglou – tanto che la prima frase che mi ha rivolto, quel pomeriggio, fu ‘La mia stagione fa schifo’». E stiamo parlando della stessa giocatrice che fino a quel giorno aveva dominato il palcoscenico dei Major proprio da New York, dodici mesi prima, n.1 già certa fino almeno ai primi mesi del 2016, con l’obiettivo (ora raggiunto) di eguagliare Chris Evert come numero di settimane totali in cima al ranking e di passarlo lunedì prossimo per diventare la terza giocatrice più a lungo sul trono. Tutto questo però non esiste, nella sua testa è rimasto quel match dannato, che avrebbe dovuto continuare a dominare come diceva il 6-2 del primo set. «Mi ha fatto piacere – ha rivelato Mouratoglou – che abbia detto così: dimostra una volta di più come incarni il profilo perfetto di una vincente, una che non si accontenta di nulla. Però questa circostanza è diversa rispetto ad agosto, quando perse da Bencic a Toronto: lì la mattina dopo era già in campo ad allenarsi perché voleva a tutti i costi vincere lo US Open». Invece lo Slam è andato a Flavia Pennetta, nella prima finale della storia tra due giocatori/giocatrici azzurri/e. Che dire? Doveva essere il suo giorno, ce ne siamo appropriati.
«Dopo una stagione con tre Slam conquistati ed il quarto sfuggito così, la vera domanda è con quale motivazione possa affrontare l’ultima fase» ha detto, come ad indicare una giocatrice che mentalmente ha già staccato. E di fatti: «Se non ha le motivazioni adatte per me non dovrebbe giocare». Pechino e Singapore potrebbero così trovarsi di colpo senza la stella n.1. L’ipotesi di una stagione terminata con quella stretta di mano così surreale sembra prendere sempre più corpo.
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