TENNIS – E’ andato in archivio anche il quarto torneo dello Slam in stagione. Lo US Open ha chiuso i battenti e l’Australia, in questo momento, è davvero lontana. Tanto vale dunque riavvolgere il nastro e tornare con la mente alle emozioni di questa stagione.
Due soli, grandi, enormi campioni: Novak Djokovic e Serena Williams. Dominatori con dodici titoli vinti in totale, sei dei quali nei Major con tre ciascuno. Rispetto allo scorso anno c’è già una grande differenza: entrambi sono già certi di essere n.1 al mondo a fine anno. Dodici mesi fa sono arrivati al Master finale a giocarsi tutto, la prima a difendere il proprio regno dagli attacchi di Maria Sharapova e Simona Halep, il secondo a placare la rincorsa di Roger Federer, arrivato ad appena 200 punti dal n.1.
Sembrerebbe tutto perfetto, ma una piccola (grande) crepa c’è. Nonostante abbiano entrambi dimostrato che in questa annata sono superiori a tutto, è mancato lo scatto decisivo. Entrambi, sotto quella corazzata da supereroi, nascondo un animo umano con tutte le loro paure. Meno male, verrebbe da dire.
Parigi sta diventando ormai l’ossessione principale di Djokovic, che quest anno è pure riuscito a battere Rafael Nadal, oltretutto in maniera piuttosto netta, ma in finale ha ceduto al nervosismo ed al Wawrinka migliore dell’anno. Aveva anche vinto il primo set, proprio come Serena Williams contro Roberta Vinci, poi però non è riuscito a contrastare la tensione che gli bloccava il braccio. Si può dire, forse, che quella sconfitta lo ha aiutato a dare tutto tra Wimbledon e gli US Open, ma ad oggi la domanda rimane: e se quel giorno la partita non fosse girata dalla parte ‘sbagliata’ (per lui)? Staremo parlando di Grande Slam. Il secondo sfiorato, dopo quello del 2011 e la semifinale parigina contro Roger Federer, miglior partita dell’anno, del decennio, dei primi anni 2000 e dei restanti. Quel pomeriggio solo una delle versioni più belle dell’ex n.1 del mondo riuscirono a fermare Novak, ancora imbattuto nell’anno e che in finale avrebbe probabilmente avuto tantissime chance di battere un Nadal già ‘giocabile’ dopo le vittorie sulla terra di Madrid e Roma. Rod Laver dopo i due tentativi andati a vuoto di Federer nel 2006 e nel 2007, ha tirato altri due sospiri di sollievo.
Per Serena Williams, invece, i quattro Slam di fila sono arrivati. Il ‘problema’ però è che quando è stata chiamata a completare il Calendar Grand Slam (chiudere il cerchio in una stagione) si è mano a mano sgretolata. Le avversarie sono quelle che sono, una Sharapova leggermente succube, una Halep in una stagione piuttosto complicata tra il suicidio del cugino e le minacce di morte ricevute, una Kvitova sempre troppo altalenante per poter fare grande affidamento. Così la n.1 del mondo ha vinto in Australia, ha vinto a Parigi, ha vinto a Wimbledon ed è arrivata a New York con una pressione addosso da far paura. Lei era la prima a negarlo, ad ogni conferenza stampa. “Non penso al Grande Slam” ripeteva, mentendo a se stessa. Nemmeno il tempo di scendere in campo e dalla sua parte di tabellone erano già uscite tutte le teste di serie comprese tra le prime 10, tempo due turni e sono saltate altre.
Era rimasta solo lei, quasi, che dava segnali di nervosismo già contro Kiki Bertens per poi patire contro Bethanie Mattek Sands un incredibile numero di occasioni sciupate prima di far sua la partita per 6-0 al terzo. Un altro set ceduto alla sorella Venus ed eccoci in semifinale, contro l’avversaria (sulla carta) più comoda possibile. Roberta Vinci, ci perdonerà, very normal people che si è regalata la giornata più bella della sua vita. Non aveva mai vinto un set contro la n.1 del mondo, non era mai arrivata a cinque game in un unico parziale. Nonostante questo, ed un primo parziale dove ha subito la potenza dell’avversaria, ha rimesso in piedi la partita e notato come Serena cominciasse a scricchiolare. Prima delle semplici crepe, figlie del nervosismo, poi è subentrato il panico, infine la paura. Nel terzo set, nonostante un vantaggio di 2-0 e palla del 3-0, la sensazione era che appena Roberta apriva il campo cercando un angolo metteva la sua avversaria in grande difficoltà, costringendola a muovere quelle gambe normalmente così possenti e di colpo divenute così fragili. Questo però è stato solo il presupposto, la base su dove costruire la vittoria più bella (per lei) ed inattesa (per il mondo intero) del torneo e forse della storia del tennis.
Serena Williams come Novak Djokovic, due grandissimi protagonisti del nostro tempo che si scoprono umani. Succede, anche a due campioni così importanti. E forse è proprio in quei momenti che il tifoso può apprezzarli maggiormente.
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