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14 Set 2015 11:00 - La parola del Direttore
Ace Cream / Pennetta, Vinci… Le donne salveranno l’Italia?
di Daniele Azzolini
TENNIS – Di DANIELE AZZOLINI.
Le donne salveranno l’Italia? Detta così sa di retorica, e me ne scuso. Ma nello sport lo stanno già facendo, dalla Pennetta alla Vinci, dalle Pellegrini alla Vezzali. E qui la retorica non c’entra. Vi sono motivi precisi, che devono esaltare, ammonire, e anche preoccupare.
Se vi capita un giorno di assistere a un allenamento di Roberta (sì, la Vinci), e a questo punto pare di capire che sarà più facile con lei che con Flavia (sì, la Pennetta), ormai avviata alla più sontuosa uscita di scena che si possa concedere a una campionessa, se mai dovesse capitarvi dicevo, potreste rimanere sorpresi da come la nostra sappia palleggiare. Con la racchetta? Ma che dite… Con i piedi! Lo fa anche mentre ascolta il suo allenatore, mentre parla o pensa. Roba da scuola calcio, un talento alla Messi, ma per fortuna Roberta Vinci non ha voluto giocare a calcio. L’avesse fatto, non sarebbe cambiata granché la situazione perché il calcio femminile, da noi, non è quello maschile. Magari è vivo e vigoroso, magari cresce, ma non è parte integrante di quella Repubblica fondata sul Pallone che è diventato il nostro Paese e a causa della quale il nostro sport (tutto) sta cominciando a pagare dazio, con la scomparsa di discipline un tempo centrali nella nostra passione (l’atletica leggera, su tutti), e con la fuga dei migliori professionisti (preparatori, fisioterapisti, su tutti) verso lidi economicamente più gradevoli.
Quando mi trovo a scrivere che il nostro tennis non ha ricambi, normalmente propongo un distinguo che credo sia onesto: la questione maschile è diversa da quella femminile, e le colpe – se colpe vi sono, e io ne vedo non poche – vanno distribuite tenendo conto di differenze sostanziali. Per carità, per come la penso sull’attuale federazione tennis e su ciò che ha fatto nell’ultimo Ventennio (oddio, l’ho scritto con la maiuscola? Pardon…), ventennio, sarei portato ad attribuirle la colpa di tutto, anche del calo delle nascite in Italia o del mancato ritiro della spazzatura sotto casa. Ma dato che ho scelto di fare il giornalista, e sono costretto a esercitare una critica che sia serena, onesta e costruttiva (e magari anche vigorosa come le terre d’Abruzzo), non mi va di cercare facili plausi con tesi che non stanno in piedi. Se ogni anno lo sport italiano – con tutti i problemi che ha, a cominciare da una Scuola che ancora stenta a capire come la preparazione fisica migliori lo studente anche in italiano e in matematica –, fosse in grado di esprimere dieci ragazzi destinati a diventare campioni nello sport, sei o sette di questi se li prenderebbe – e se li prende, in effetti – il calcio, mentre per gli altri tre o quattro si assisterebbe a una rissa fra tutte le altre discipline sportive, dal badminton alla vela, passando per il tennis. Dunque, mettetevi l’animo in pace. Se dovesse spuntare un campione del tennis italiano al maschile, e intendo uno da podio, si tratterebbe solo di culo. Un culo grande così.
Più o meno quello che sta accadendo in altri Paesi, anche fra quelli che hanno strutture sportive e abitudini allo sport ben più avanzate delle nostre. Negli Stati Uniti il tennis è considerato (si stenta a crederlo) uno sport quasi povero. Meglio il football, il baseball, il basket per chi possa permetterselo, oppure l’hockey su ghiaccio. Anche il golf fa guadagnare di più e meglio del tennis. E questi sono gli sport che i ragazzi scelgono, desertificando il tennis maschile statunitense piombato ormai in una crisi quasi irreversibile. Da noi, l’ho scritto più volte in passato, occorre che il tennis a livello giovanile (eccolo il compito vero di una federazione, altro che occuparsi dei professionisti già avviati) stringa un patto con le masse giovanili di prima generazione italiana, i figli degli immigrati, in una parola i nuovi Balotelli (magari con un’indole migliore). Forse assicurando loro un futuro (quanto meno da maestri) si possono coinvolgere in un discorso di crescita. Hanno fisico e motivazioni forti, se non altro.
Ma per le ragazze il discorso è diverso. Qui non esiste il Fattore C, il calcio che tutto divora, compresa la bellezza dello sport. Qui le ragazze vanno conquistate, blandite, rassicurate sul futuro e sull’avvenire, guidate, protette. Non solo… Qui la comunicazione, la ricerca dei talenti, hanno ancora un valore. Ed è qui che, nel tennis, si è sbagliato tutto o quasi. Altrimenti, dopo quattro titoli di Fed Cup, tre finali Slam, la vittoria della Schiavone al Roland Garros, e tre numero uno in doppio (l’effetto traino, si diceva), non vivremmo in un presente da depressione carsica. Ormai da tre o quattro anni non c’è un solo talento che spunti dal settore juniores. Il deserto. E dico questo nella speranza che la vittoria di Flavia, e la doppia impresa delle italiane finaliste agli Us Open, offra una nuova possibilità di rilancio. Può essere… Ma occorre saperla cogliere, temo sia davvero l’ultima occasione. E quanto fatto (o non fatto) in passato, non è certo il miglior viatico.
Del resto, ora che la bellissima pagina degli Us Open è stata scritta a quattro mani da Flavia e Roberta, ora che la nostra Penna ha fatto sapere che questi ultimi spiccioli di stagione li vivrà solo come un giro d’onore, peraltro meritatissimo, possiamo a buon diritto commuoverci e sperare che tutto possa cominciare da capo, con le protagoniste di sempre, alle quali – credeteci – vogliamo ormai un bene dell’anima. Ma se restiamo a occhi aperti, ed evitiamo di rincorrere sogni o slogan, dobbiamo convenire che il “rompete le righe” è cominciato, e che presto condurrà la famosa squadra di Fed Cup che “tremare il mondo” faceva, in ambito pensionistico. Ieri la Penna, a Parigi 2016 la Schiavone (sempre che si rianimi e le torni la voglia di raggiungere quel record di 62 partecipazioni consecutive allo Slam), probabilmente la Vinci dopo Rio. A quel punto Sara Errani avrà quasi trent’anni, Karin Knapp 29, e Camila Giorgi si sarà ulteriormente convinta di voler fare altro nella vita – come ci ha detto nel gennaio scorso a Melbourne – e di non avere alcuna intenzione di superare i trent’anni con una racchetta in mano. Dopo Rio, il nostro tennis al femminile dovrà pescare fra le bimbette di oggi. Ma non chiedeteci i loro nomi, non saremmo in grado di farveli.
E ora diteci se, mentre si fa festa per la Penna, mentre ci si accora per il suo ritiro, e mentre si riflette sulla bellezza delle pagine appena scritte (dalle ragazze, mica da noi), non sia il caso di preoccuparsi un pochino. Sì? La risposta è esatta.