TENNIS – Di Diego Barbiani
“Fly high, sing your own song”, ovvero: vola alto, canta la tua canzone. Maria Sharapova lo scrisse sulla telecamera al termine del match di quarti di finale a Melbourne contro Eugenie Bouchard.
La russa ce l’aveva, per così dire, con la ‘Genie Army’, quel gruppetto di tifosi che da due anni in Australia accompagnano le partite della rivale canadese con canti e cori da stadio. A chi le chiese, in conferenza stampa, se le farebbe piacere un nucleo di tifosi così appassionati ha risposto decisa: «No. Piuttosto preferisco scrivere e cantare canzoni di mio».
“Fly high, sing your own song” si può pensare anche, in senso più metaforico, come “vola alto e scrivi la tua storia”. Frase perfetta per Sofya Zhuk, recente campionessa di Wimbledon junior. Sedici anni da compiere il primo di dicembre, ha nella connazionale il proprio idolo, «ma niente paragoni con lei, essere una nuova Sharapova è qualcosa di molto difficile». Maria oggi non è solo un’icona sportiva riconosciuta e tra le più pagate del mondo, ma è anche una donna di successo in numerosi ambiti fuori dal campo da gioco, come quello imprenditoriale con le sue caramelle Sugarpova. Ha tracciato un solco netta che ha messo sostanzialmente in ombra tutto il tennis femminile russo prima di lei e provare ad imitarla è operazione molto complessa.
Il vero punto in comune tra le due, oltre all’interesse verso la moda (Zhuk ha anche una linea di abbigliamento disegnata apposta per lei), al momento, è la forza mentale, una voglia di essere la migliore che l’hanno contraddistinta fin dall’età infantile. La sua prima allenatrice, Ludmila Granaturova, ha detto di lei: «Si è sempre contraddistinta da tutte le altre perché voleva essere la migliore in tutte le cose che facevamo. Aveva il forte desiderio di vincere a tutti costi, qualcosa che non si può insegnare o imparare, è qualcosa che si ha dentro. Quando perdeva una partita veniva da me e diceva con grande foga “Ludmila! Voglio giocare di nuovo! Voglio vincere!”. Mai una volta che si sia presentata in ritardo ad un allenamento, mai che non abbia fatto cose che le dicevo di fare».
Dall’età di sei anni si allena al centro sportivo di Luzhniki a Mosca, la sua città natale. Sembrava inizialmente destinata alla ginnastica artistica. Il suo fisico ancora molto esile le garantiva grande successo anche in quel campo, poi però ha deciso di puntare tutto sul tennis. E’ rimasta legata a Granaturova nonostante ora sia costretta a fare la spola tra Russia e Belgio, dove si allena all’accademia di Justine Henin. Non aver ottenuto il visto non può trattenersi per più di novanta giorni, così ne approfitta per tornare a casa ed a passare del tempo con la sua famiglia e gli amici.
L’altra figura fondamentale nel suo percorso di crescita è quello di mamma Natalia, che la segue come un’ombra senza sosta, decidendo anche di sobbarcarsi le ingenti spese he occorrono alla figlia per continuare il sogno di diventare una campionessa. Sofya ha bisogno di 100.000 dollari all’anno e «la federazione russa non ci ha mai supportato – ha detto Natalia – è ingiusto, ma non è neppure raro che succeda questo nelle famiglie di giovani atleti russi. Sono in tanti che vivono le nostre stesse condizioni, ma tutti noi genitori vogliamo fare qualsiasi cosa per permettere ai nostri figli di giocare».
Natalia la svegliava alle 6:30 del mattino per portarla a lezioni di inglese da un professore universitario che a causa di molti altri impegni non aveva altri orari disponibili, ora si sposta tra Belgio e Russia con lei. «In Belgio c’è tutto all’interno dell’Accademia, non è come a Mosca dove gli impianti sono sparsi per la città». Le tiene ancora sotto stretto controllo, ritiene che non abbia ancora l’età giusta per iniziare una vita indipendente. «Le dò una mano sulla cose banali: le preparo colazione, pranzo e cena. Voglio che si concentri solo sul tennis».
Il 2013 è stato l’anno d’oro, quello che l’ha vista cominciare il suo dominio nei tornei under-18 per lei che non aveva neppure quattordici anni. Tra giugno e luglio ha infilato una striscia di venti successi in ventuno partite, tre trofei vinti tra cui il titolo del torneo ‘Avvenire’ di Milano (“Il torneo che non sbaglia un colpo” secondo Rino Tommasi) ed una sconfitta in finale. Un anno dopo, ad ottobre, il primo titolo ITF tra i professionisti a Shymkent, in Kazakistan, dove non ha perso neppure un set. A tredici il primo titolo junior, a quattordici il primo titolo da pro. Un’ascesa sensazionale fino a Wimbledon, una settimana fa, quando ancora una volta non ha ceduto un parziale dal primo turno alla finale, dove ha incontrato la connazionale Anna Blinkova.
Era dal 2002 che nel torneo junior di Wimbledon non si trovavano due russe: una era Vera Dushevina, l’altra Maria Sharapova. Durante l’intervista negli studi televisivi della BBC ha raccontato quanto fosse stato bello per lei giocare davanti ai 9000 spettatori del campo 1: «Era la mia prima volta su un campo così grande e così importante, eppure non ero nervosa. Non credevo potessero esserci tutte queste persone per una finale junior, visto che era quasi in contemporanea con la finale tra Williams e Muguruza, però è stato fantastico perché adoro giocare con tante persone sugli spalti». Quando le hanno chiesto se tutto quanto comporta la vita di un tennista tra viaggi, duro lavoro e sacrifici le facessero rimpiangere di non poter vivere una vita più tranquilla. Lei ha detto: «Sarebbe tutto troppo noioso. Mi sto divertendo tantissimo a viaggiare il mondo ed a giocare a tennis, non ce la farei ad immaginare la mia vita in maniera diversa».
Da settembre comincerà a trascorrere ancora più tempo tra i professionisti, abituandosi a quello che sarà il suo futuro prossimo, in attesa che le limitazioni imposte dalla WTA sulle giocatrici minorenni svaniscano. Sta bruciando le tappe, ma non vuole montarsi la testa: «Senza il duro lavoro non otterrei nulla, non posso togliere il piede dall’acceleratore. Voglio vincere un titolo dello Slam anche tra i grandi, solo così potrei essere ricordata come una grande campionessa». In questo, sì, ricorda quella Sharapova che a diciassette anni vinse Wimbledon, quello dei grandi, contro Serena Williams. Sofya però vuole crescere lontana da paragoni fastidiosi e scrivere la sua storia. “Fly high, sing your own song”.
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