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Novak Djokovic, l'antidoto più efficace contro la "perfezione"

TENNIS – WIMBLEDON – DI LORENZO DI CAPRIO. Eravamo rimasti, due giorni fa, a parlare di “perfezione”, qualificando in questo modo la partita giocata da Federer contro Murray in semifinale. Bene: Novak Djokovic ha deciso di alzare l’asticella un po’ più in alto, conquistando il terzo Wimbledon della sua carriera dopo quattro set giocati a livelli irreali.

Nulla ha potuto Roger Federer, nonostante i buoni propositi con cui era sceso in campo ed un centrale schierato totalmente dalla sua parte. Aveva già abituato il grande pubblico a super prestazioni nell’atto finale di un torneo, anche quando durante la settimana faticava più del previsto, ma stavolta Djokovic è andato oltre ogni limite: un muro umano pronto a respingere con forza ogni palla proveniente dall’altra parte della rete.

La chiave dell’incontro è stata la facilità con cui Nole è riuscito ad aprirsi il campo con entrambi i colpi, muovendo Federer oltre la linea di fondo. Il risultato è stato vedere quest’ultimo faticare per tenere il ritmo – serratissimo – dello scambio, lontano da quelle zone che gli avrebbero permesso di spingere e verticalizzare. D’altronde, ad inizio quarto set è apparsa una statistica eloquente: nel match, l’elvetico ha corso circa il 10% in più rispetto al numero uno del mondo. Nel gioco dello svizzero, evidentemente, qualcosa non è andato.

Dire che il sette volte campione dei Championships abbia giocato male, comunque, è sbagliato: certo, era forse lecito aspettarsi di più da Federer dopo il miracoloso tie-break vinto nel secondo parziale, ma quello che si è trovato di fronte era un Djokovic in versione deluxe. Il serbo non si è scomposto, neanche dopo il set perso e la palla break salvata ad inizio terzo, trovando anzi la forza per tornare subito a macinare colpi vincenti e righe. Dal canto suo, insomma, Roger ha fatto il possibile, ma non è riuscito a trovare un colpo che riuscisse a mettere seriamente e sistematicamente in difficoltà il suo avversario. Djokovic ha disinnescato il gioco di Federer così come quest’ultimo aveva fatto, solo due giorni prima, con Andy Murray.

Chissà se, anche per un solo secondo, Nole sia tornato indietro con la mente fino a Parigi: di certo, aumentano i rimpianti per quella sconfitta patita contro un Wawrinka in stato di grazia. Se fosse andata diversamente, una vittoria allo US Open avrebbe decretato il Grande Slam. Quest’oggi, comunque, tutto questo passa in secondo piano: Djokovic si conferma Re a Wimbledon legittimando ancora una volta – semmai ce ne fosse stato il bisogno – il primato di miglior giocatore al mondo, che ormai lo accompagna da tempo e che, oggi più che mai, sembra destinato a restare tra le sue mani ancora a lungo.

 

Redazione

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