TENNIS – DA WIMBLEDON, RICCARDO NUZIALE – Risultato comodo per la Radwanska, che però nasconde un secondo set recuperato da 0-4: 61 64 a Casey Dellacqua per la polacca, ancora vittima della fragilità di questi mesi, ma che sta pian piano tornando ai suoi livelli, sulla superficie che più ama, nel suo torneo.
I titoli di coda odierni hanno detto volee di rovescio in allungo, a baciare prestazione e rimonta, ma avvolgiamo il nastro.
Pensiero di non pochi sostiene che l’inizio della fine per Agnieszka Radwanska risalga alla semifinale 2013 dei Championships quando, da favorita anche in proiezione finale, subì una bruciante e logorante sconfitta contro Sabine Lisicki.
Una diva pronta finalmente ai grandi riflettori, alle grandi conquiste, dopo tanti richiami di sirena che si trovò divorata dal palco che doveva farla immortale.
La platinata Aga non solo non riuscì a conquistare Hollywood, ma da quel giorno è iniziato un cammino infernale che l’ha portata a questa prima metà di 2015 dai contorni inquietanti. Non per i semplici risultati, ma soprattutto per un atteggiamento che rasentava l’abulia, la totale perdita del controllo del proprio tennis che, chissà, è forse nato dalla perdita della propria serenità privata.
Così l’ex diva ha iniziato questi Championships nei teatri di periferia, come le vecchie attrici dimenticate costrette a racimolare qualche soldo in spettacoli di quart’ordine, lontana dai riflettori aulici dei giorni migliori: campo 12 al primo turno, campo 2 al secondo.
Oggi la polacca si è avvicinata al teatro che la rifiutò, il teatro dei teatri, il Centre Court. Aldilà dell’impronta storica lasciata dai maratoneti folli Isner e Mahut, il campo 18 è probabilmente il più bello dell’All England Club tra tutti quelli secondari, quello che coniuga la statura di stadio e l’intimità del campo periferico. Un teatro già grande, ma ancora sorretto dal calore umano quasi tangibile.
La partita con l’australiana Casey Dellacqua ha ben raffigurato la Radwanska odierna, quella della stagione erbivora: una crescente convinzione ancora però infettata dalla fragilità psicanalitica. Un 61 64 che ha quasi replicato a specchio il loro ultimo incontro, sempre ai Championships, lo scorso anno, con il secondo turno che si concluse 64 60.
Nel primo set della replica odierna le accelerazioni australiane sono state contrastate dalla Radwanska vintage, quella dalle gambe che seguono in anticipo geometrie e lucidità tattica, che neutralizza le armi avversarie con una pulizia di esecuzione che rende attacco la difesa. Ma incassato con facilità il parziale iniziale, riecco il lettino di Freud, gli incubi incomprensibili; quattro game persi di fila e in silenzio, con esecuzioni imprecise e gambe poco reattive senza che la Dellacqua avesse attuato variazioni tattiche degne di nota.
Quelle pause che abbracciano l’assurdo e che oggi ha fatto temere l’ennesimo 6-0 erbivoro, dopo quelli subiti contro Niculescu e Bencic. Pausa che invece oggi si è interrotta con la stesso mancato motivo con il quale era cominciato: sei game di fila in sicurezza, conclusi con la volee ricordata all’inizio.
L’ex diva Aga sta pian piano riprendendo sicurezza sulla sua amata erba dei Championships, anche se a dir poco avventato spingersi in proiezioni con una simile scheggia dell’ignoto. Avere agli ottavi Jelena Jankovic anziché Petra Kvitova è già un aiuto del destino, ma nel 2013 quell’aiuto non seppe accoglierlo.
Vedremo se stavolta, a luci spente, con i titoli tutti per altre giocatrici, la polacca tornerà a incantare.