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Nadal, il problema non è la testa

TENNIS – QUIET PLEASE! – Di ROSSANA CAPOBIANCO – Dopo la vittoria a Stoccarda, le speranze erano tornate: che Nadal si sia lasciato dietro la pressione di dover dimostrare di essere ancora imbattibile al Roland Garros? Al Queen’s, solo qualche giorno dopo, la sconfitta contro Dolgopolov. Grave per chi crede che per lo spagnolo sia una questione mentale, meno per chi invece vede semplicemente un normale calo ad altissimo livello.

Lo avevamo lasciato sorridente, mentre mordeva il suo ennesimo trofeo: sì, era “solo” Stoccarda, una volta luogo di amata terra battuta, ora erba lenta dal rimbalzo alto, ma Rafa aveva vinto partite combattute, importanti e poi vinto il torneo.
Quante volte nella sua -ormai lunga- carriera glielo abbiamo visto fare? Un classico: soffre ai primi turni, salva situazioni difficili, poi il trionfo e la fiducia che ne consegue.

Naturalmente giocare due tornei su erba in due settimane non è semplice, perché non tutta l’erba è uguale e mai come sull’erba (specie 2 set su 3) i risultati sono legati spesso a pochi punti, quelli importanti. La sconfitta al primo turno contro Dolgopolov al Queen’s per Nadal non è totalmente inaspettata: a parte l’avversario difficile che ama e sa giocare su questa superficie, in una stagione come questa lo spagnolo ha mostrato di poter perdere contro avversari pericolosi come Dolgo.

Ma come, non aveva riacquistato fiducia? Cos’è successo ancora?
Chi se lo chiede pensa che il problema di Rafa sia soprattutto la testa, la sicurezza in sé e nel proprio gioco. 
Così però non è. Non solo, almeno.

IL CALO DI INTENSITA’

La prima cosa davvero evidente dal finire della stagione scorsa è il calo dell’intensità fisica e di conseguenza mentale di Nadal in campo: non è una questione di cattiveria, di cinismo, di voglia di vincere o meno; è soprattutto un’incapacità evidente a mantenere costante il proprio livello per più di un’ora/un’ora e mezza a partita o peggio (nelle giornate proprio infelici) tra un game e l’altro o pure nello stesso game. Sull’erba ha probabilmente possibilità di arginare questo “problema” che ormai va trascinandosi da troppo tempo per essere una casualità o una semplice fase, facendo affidamento al servizio che, anche non spinto al massimo, può regalargli tanti punti. Tuttavia questo non è il gioco “base” di Rafa e dunque la sua efficacia è spesso casuale e mai continua.

LA PALLA GIRA DI MENO MA NON E’ PIU’ PENETRANTE

Il primo effetto di questo calo fisico è una palla che difficilmente trova sufficiente profondità e soprattutto non dà fastidio agli avversari (o a molti di essi). Anche quando Nadal tira più piatto la sua non è una palla troppo pesante per gli avversari di buon livello; senza contare poi che tirando di più la possibilità di sbagliare è naturalmente maggiore. Una soluzione sta nell’avanzare in campo, cosa che lo spagnolo prova di tanto in tanto, ma senza troppa convinzione e soprattutto senza quel margine di sicurezza che gli piace -ed è abituato ad- avere in partita.

L’INSICUREZZA NON NASCE DAL NULLA


Un giocatore razionale e profondamente schematico come Nadal, non si fa i film in testa per niente: se durante i punti importanti (palle break, match point, possibilità di “ammazzare” la partita) la fiducia viene meno è perché la consapevolezza di essere quasi imbattibile non c’è più: si rende conto che il suo livello, la sua palla, il suo tennis in generale è vulnerabile contro tanti ormai nel circuito. Questo vuol dire che Nadal non vincerà più niente di importante?
Naturalmente no. I campioni sono campioni per dei motivi precisi e una via, ogni tanto, la trovano sempre. Essere “cannibali” o dominatori però è un’altra cosa e la storia tennistica di Rafa negli ultimi anni ha visto un graduale -e tuttavia glorioso- calo di livello che lo ha portato ad essere oggi privo di alcune caratteristiche fondanti nel proprio gioco.

Nadal non ha nemmeno trent’anni, è vero, ma è professionista da quasi 13 anni, nei quali di batterie ne ha consumate tante e arrivare perfettamente -o addirittura prima- sulla palla fa molta differenza, prima fisica, poi tennistica, infine mentale.

La sconfitta contro Dolgopolov è avvenuta dal 4-2 nel terzo set, è vero: Rafa si è fatto rimontare dopo poche prime e molti errori, ma tutto questo altro non conferma l’altalena di livello oggi presente nel suo tennis; peraltro Dolgopolov avrebbe potuto chiudere la pratica in due set, prova del fatto che solo le bizze mentali dell’avversario hanno “rischiato” di farlo vincere poi. Oggi Rafa soffre di più un avversario buono/ottimo e continuo, piuttosto che uno estroso o potente, a differenza del passato.

A Nadal -come a Federer, per motivi leggermente diversi- servono due settimane di grazia assoluta, un po’ di fortuna e avversari facilmente suggestionabili.
Per il resto i suoi tifosi non devono preoccuparsi: la sua salute mentale è ottima.

 

Rossana Capobianco

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Tags: Rafael Nadal

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