Challenge Round. L’umanità di Djokovic, la gloria di Wawrinka

TENNIS – DI FABRIZIO FIDECARO – La commossa reazione alla sconfitta con Wawrinka al Roland Garros ha, in un certo senso, umanizzato Novak Djokovic, facendogli guadagnare la simpatia del pubblico. Per il numero uno del mondo i rimpianti sono forti, ma l’imprevedibile Stan the Man ha meritato la gloria.

Le lacrime al termine della finale persa lo hanno, in un certo senso, umanizzato. “RoboNole”, la macchina da tennis, l’indiscusso numero uno del mondo, candidato da tutti alla conquista del Grande Slam (e, di passaggio, del Career Slam), non ce l’ha fatta. Il Roland Garros è rimasto ancora una volta tabù. Non gli è bastato travolgere il nove volte campione Rafa Nadal nei quarti e resistere al tentativo di rimonta di un indomabile Andy Murray in una estenuante due giorni. No, Djokovic non aveva fatto i conti con l’imprevedibilità di Stan Wawrinka, uno che, dopo un ottimo inizio stagione (titoli a Chennai e Rotterdam, semi agli Australian Open), era sembrato perdersi per strada, come spesso gli accade. Sconfitte con Stakhovsky a Marsiglia, Haase a Indian Wells, Mannarino a Miami, una batosta patita a Monte-Carlo da Dimitrov, che lo aveva ribattuto a Madrid. Poi l’improvvisa rialzata di capo a Roma, dove, peraltro, all’esordio era stato indietro di un set e di un break contro Juan Monaco. Al Foro Italico, in certi momenti, aveva incantato, specie nel quarto serale con Nadal, in cui a tratti era apparso in stato di grazia dinanzi a uno sbigottito maiorchino. Poi, però, il brusco stop con Federer, dopo un effimero 3-0 iniziale, aveva riportato a galla i consueti dubbi, rafforzati dalla successiva uscita con Delbonis a Ginevra. A Parigi, però, tutto è girato per il verso giusto ed è tornato Stan the Man, l’uomo già ammirato l’anno scorso a Melbourne, capace in bello stile di mettere in fila tutti, ivi inclusi i primi due giocatori del ranking.

Certo, i rimpianti per il serbo devono essere forti. Era dato largamente per favorito, ma si è trovato dinanzi un Wawrinka stellare, in grado di scardinarne la solidità e di demolirne gli schemi collaudati con aggressività e fantasia. Così gli ingranaggi simil-robotici di Nole si sono inceppati, prima durante il match e poi nel corso della premiazione, con quel pianto commosso e in fondo liberatorio di fronte all’interminabile applauso del Philippe Chatrier. Il 28enne di Belgrado riproverà a sfatare questa sorta di maledizione, non esistono dubbi al riguardo. È quasi paradossale che il suo nome non compaia ancora nell’albo d’oro: parliamo di uno che sulla terra, pur ritrovandosi nell’epoca Nadal, ha vinto quattro volte Roma, due Monte-Carlo e una Madrid. Nell’edizione 2015, però, la gloria è toccata a Stan e, visto quanto accaduto in campo, con pieno merito. A Nole restano la consapevolezza di essere di gran lunga il migliore quanto a rendimento medio (il che, in questo caso, non rappresenterà una consolazione) e, soprattutto, un nuovo feeling con il pubblico. L’intima fragilità messa in mostra, suo malgrado, a Parigi gli ha fatto guadagnare consensi, simpatia e qualche tifoso in più intorno al mondo. Il che, in certe occasioni, può essere d’aiuto, persino a un fuoriclasse del suo calibro, che, nel cuore dei fan, ha avuto la sfortuna di fare da terzo incomodo ai protagonisti di una delle rivalità più sentite del tennis moderno.

 

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