Dal nostro inviato a Parigi, Daniele Azzolini
È la fine di un impero, e siamo tutti tristi. È accaduto ciò che era inevitabile accadesse, ma ci trafigge il cuore vedere Rafa affievolirsi mentre i game gli passano fra la racchetta, uno dietro l’altro, sempre irraggiungibili. Sono passati undici tornei, dal suo primo Roland Garros, e non ci sarà mai nessun altro che potrà rilevare i suoi numeri e farli propri, addirittura migliorarli. Gli eroi vengono celebrati per poi essere distrutti, ma alcuni eroi prendono forme quasi irrinunciabili, diventano come istituzioni, ci abituiamo alla loro presenza come fossero amici, o parenti. Il Rafa parigino, anche quello che prendeva a legnate Federer, e faceva rabbia a tutti gli innamorati del gesto più puro che il tennis abbia mai visto, era diventato una controparte essenziale, irrinunciabile. Era norma. Legge. Stato. L’approdo di Djokovic è logico e lecito, finanche atteso. Ma sa tanto di invasione.
Ora siamo tutti pieni di domande, e non sappiamo dare risposte. Nadal ha perso nei quarti, Djokovic lo ha battuto per la prima volta al Roland Garros. Nadal non è più il numero uno, nemmeno sulla terra rossa. E forse non sarà nemmeno fra i primi dieci della classifica Atp quando questo Roland Garros troverà posto in archivio. È la fine di un’epoca? Forse sì, vi sono tutti gli elementi per dirlo. C’è la forza di Djokovic, da una parte, che si è manifestata nei modi che era lecito aspettarsi. Ci sono i dubbi di Rafa, dall’altra, quelli che gli impediscono di proporsi come aveva fatto per dieci anni e nove Roland Garros. Va in campo per difendersi, non per attaccare. Tira piano la prima di servizio, convinto che se non la mette dentro c’è il rischio che l’altro (tutti gli altri) si avventi sul suo gioco. Che gli entri dentro, come dice lui. Poi ci ripensa, quando vede che con Djokovic difendersi non serve a nulla, e per qualche game torna a lottare come sempre, a fare a sportellate con il serbo, che ha più colpi però, quelli che Madre Natura gli ha dato, e quelli che gli suggerisce la fiducia che lo sorregge in questi mesi. E li usa tutti, quei colpi. Dall’alto di una tranquillità che non lo molla nemmeno quando Rafa lo appariglia. Gli basta un game per ritrovare certezze, e allora diventa difficile abbattere questa montagna di solida determinazione. Impossibile per Rafa, che si fa troppo domande u se stesso, e non trova più le risposte che cercava. Proprio quello che capita a noi.
È il giorno del compleanno di Nadal. Per anni gli hanno fatto la torta, e ha brindato con la stampa, al terzo piano dello Chatrier. Oggi la torta gliel’ha fatta Djokovic, amara, amarissima. Nole può salpare da questa vittoria per approdare dove gli altri non sono mai giunti. Se vince Parigi è a metà del Grand Slam, e può disporre di due tornei “più facili” per lui (Wimbledon, UsOpen) e già vinti in passato, per completare l’impresa. Mi chiedo se sia giusto. E mi rispondo di no, anche se serve a poco. Federer e Nadal hanno inciso nel tennis molto più di lui, ma il loro confrontarsi ha impedito che uno dei due arrivasse a vincere tutto. Djokovic sembra poter disporre di avversari più malleabili, anche se dai nomi altisonanti. Restano Tsonga o Wawrinka, prima della finale. E Murray, che ha battuto Ferrer. Siamo in semifinale e la Spagna non c’è più. È davvero cambiato il tennis…
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