TENNIS – DI FABRIZIO FIDECARO – Roger Federer è stato sconfitto da Novak Djokovic nella sua quarta finale al Foro Italico, mancando ancora una volta l’appuntamento con il trofeo romano. I rimpianti dei fan seguitano a concentrarsi sul match clou del 2003, perso con Felix Mantilla, che, però, nell’occasione, meritò in pieno il trofeo.
Per Roger Federer Roma sarà anche un torneo come un altro, ma di certo in un palmarés come il suo il titolo degli Internazionali d’Italia rappresenta una lacuna non trascurabile. Come, e ancor più, per il Foro Italico il fatto di non trovare il nome del fuoriclasse elvetico scorrendo l’albo d’oro. Quella di domenica scorsa contro Novak Djokovic è stata la quarta sconfitta in finale di Fed-Ex, dopo le due con Rafael Nadal (nel 2006, per 76 al quinto dopo aver sciupato due matchpoint, e nel 2013, in un incontro dominato dal maiorchino) e la più datata (2003) con l’altro spagnolo Felix Mantilla. Proprio su questa sfida continuano ad affollarsi i rimpianti dei sostenitori di Roger, ma in quell’edizione il tennista di Barcellona, classe 1974, meritò in pieno il successo, rifilando tre set a zero nell’ultimo atto a colui che, di lì a meno di due mesi, avrebbe alzato al cielo il primo dei suoi sette trofei di Wimbledon.
Federer, all’epoca il quinto giocatore del mondo, si affacciò al match clou da favorito. Lungo il cammino aveva lasciato per strada appena un set, nei quarti all’azzurro Filippo Volandri (che lo avrebbe clamorosamente sconfitto quattro anni più tardi), mentre negli altri incontri aveva concesso le briciole agli avversari. Spiccavano un 61 61 rifilato negli ottavi a Tommy Robredo e una netta affermazione in semi sul n. 3 del ranking Juan Carlos Ferrero (ritiratosi a esito compromesso, in svantaggio per 64 4-2), che veniva dal centro di Monte-Carlo e, quattro settimane dopo, si sarebbe imposto al Roland Garros.
Mantilla, al contrario, aveva dovuto faticare fin dall’esordio. Giunto a Roma da n. 47 Atp, l’iberico pareva ormai lontano dai fasti di un lustro prima, quando, a suon di buoni risultati sul rosso, era entrato brevemente fra i top ten. Ritenuto dalla maggior parte dei tecnici nulla più che un onesto pedalatore, Felix affrontò un percorso tortuoso, che lo vide eliminare, via via, David Nalbandian, Mardy Fish, Albert Costa, Ivan Ljubicic e Yevgeny Kafelnikov. L’unica sfida che filò via abbastanza liscia fu quella con Fish: nelle altre Felix fu sempre costretto al set decisivo, giungendo spesso vicino all’uscita di scena. Con grinta e polmoni, però, riuscì a qualificarsi per la finale.
La chiave di volta fu il parziale d’avvio, nel quale il giovane e inesperto campioncino mostrò quei limiti che lo avrebbero afflitto spesso anche in futuro. Mancò infatti ben sette palle break (in quattro diversi turni di battuta dell’avversario) e fu lui a cedere inopinatamente il servizio nel dodicesimo game, lasciando il set a Mantilla. Questi sfruttò il momento positivo e, bloccato sul nascere il tentativo di reazione di Roger (che era andato 2-0 nel secondo set), si aggiudicò otto giochi di fila, involandosi sul 75 62 2-0.
Sembrava fatta per l’outsider, che, però, in prossimità del traguardo, simile a un novello Dorando Pietri, percepì l’imminente realizzazione del sogno e si bloccò. Dal canto suo, Federer provò a giocarsi il tutto per tutto e rimontò fino a portarsi avanti per 5-3 e a disporre di due set-point consecutivi sul 5-4. Li fallì e commise doppio fallo sulla chance del controbreak, riammettendo l’avversario in partita. Il game successivo, sul servizio di Mantilla, richiese la bellezza di ventisei punti e fu lo spagnolo a farlo suo dopo aver salvato ben sette palle break (nel complesso, Fed-Ex ne trasformò 3 su 17…). Si andò al tie-break, nel quale Roger annullò due matchpoint, mancò una terza opportunità per allungare la sfida al quarto e, infine, capitolò. Significativo il penultimo punto, in cui Felix recuperò l’inverosimile correndo per tutto il campo, finché lo svizzero, frustrato, non mise in corridoio il secondo smash cui era stato obbligato.
Per Mantilla fu la gloria, con il decimo centro in carriera, senz’altro il più importante. Il catalano si paragonò simpaticamente al Russell Crowe de “Il Gladiatore”, per la capacità di lottare e per il look barbuto che sfoggiava con orgoglio. Nel corso della premiazione, indossò una t-shirt raffigurante dettagli dell’opera di Raffaello nei Palazzi Vaticani, di quelle molto gettonate fra i turisti stranieri, e, al momento dei ringraziamenti, non seppe trattenere alcune lacrime di commozione.
Qualche anno dopo Felix dimostrò le sue qualità di “gladiatore” anche nella vita, combattendo contro un tumore della pelle e uscendone vincitore, tanto da ritornare anche, per qualche tempo, a calcare i terreni del circuito. È stato giocatore intelligente e dal gran carattere, in grado di adattarsi a ogni situazione o avversario e di battagliare con chiunque, al di là dei mezzi tecnici e fisici. Ovvio che non possa reggere il confronto con Nadal o Djokovic, ma, nel ricapitolare le sconfitte capitoline di Federer, va trattato con il dovuto rispetto. E non alla stregua di un mezzo miracolato.
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