TENNIS – Dal nostro inviato a Stoccarda Diego Barbiani
Lo scorso anno di lei si parlava solamente per quel triste primato totalizzato nei primi tre tornei dello Slam della stagione: un solo game vinto per 108.000 dollari. Eppure, Petra Martic, era una delle tenniste potenzialmente più monitorate fino a qualche anno fa.
E’ seguita un’involuzione dovuta ad infortuni, ricadute e tantissime sconfitte che ne hanno scalfito il morale fino a farla precipitare in un vortice di negatività che la stava inghiottendo. «Il 2014 è stato l’anno peggiore della mia vita» ha detto, con un’espressione che lasciava ben poco all’immaginazione. Nel 2012 Petra era arrivata al quarto turno del Roland Garros, il momento che ancora oggi ricorda come il momento più bello della sua carriera. Poi «ho avuto tre mesi di infortunio, sono rientrata ed ho raccolto solo sconfitte, ricadute continue proprio quando sentivo che stavo ritrovando fiducia… Perdevo punti, precipitavo nel ranking, ho cominciato a viverla molto male».
Oggi la croata ha mostrato invece quanto quel momento sia ormai un ricordo del suo passato. Impegnata sul campo-1 nell’ultimo match di qualificazioni contro l’ucraina Julia Beygelzimer, era sotto 3-6 2-5 e servizio per la sua avversaria quando ha preso coraggio ed ha cambiato l’inerzia della partita giocando sulle righe, prendendosi rischi enormi e chiudendo 3-6 7-6(5) 6-4. Alla fine tutto questo ha pagato, con la soddisfazione di aver ritrovato il tabellone di un Wta Premier dopo quello di Doha a Febbraio, quando però fu subito fermata da Venus Williams. Questa volta trova la lucky looser Marina Melnikova, in una sfida aperta ad ogni risultato.
Sei venuta a capo di una partita in cui eri ad un passo dalla sconfitta, come hai capovolto l’inerzia dell’incontro?
«Vuoi la verità? Ero molto nervosa, poi ho chiesto aiuto al mio coach durante un cambio campo e lui ha saputo trovare le parole giuste per spronarmi a prendere più rischi ed ad essere più pericolosa. Non ero contenta del mio gioco, non lo sono comunque stata alla fine. Ho giocato molto meglio le due partite precedenti, oggi ero molto nervosa ma sono riuscita comunque a venirne fuori».
Ana Ivanovic disse che “la fiducia è strana: quando ce l’hai ti sembra che non potrai mai perderla, quando l’hai persa ti sembra di non poterla più avere”. Cosa ne pensi?
«E’ verissimo. Nel tennis molto dipende da come vai in campo, da quanto credi in te stesso anche nelle giornate più negative come lo è stato per me oggi. Sono sempre rimasta lì, ho creduto di potercela fare fino alla fine. Negli anni passati se non mi sentivo in giornata lasciavo perdere, pensavo a qualcos altro, ora è tutto diverso».
Nel 2012 hai vissuto il momento più emozionante della tua carriera al Roland Garros. Hai avuto delle difficoltà ad affrontare la pressione che ne è seguita?
«Le difficoltà erano dovute al non riuscire a tornare a quel livello. Tanti infortuni, tantissime sconfitte… Sono crollata psicologicamente, non c’era nulla che girava nel verso che volevo. Ora posso dire di essere molto più matura nell’affrontare sia le sconfitte, anche le più dure, sia gli infortuni sia la pressione che mi porta. Tempo fa ero fissata con il ranking, dipendevo da quello. Pensavo solo a quanto ero in classifica, quanto avevo perso dalla settimana prima, che risultato devo fare per non peggiorare ancora, chi devo battere per risalire. Ora vedo tutto in maniera diversa, voglio dare il massimo in ogni match ed ho messo da parte quell’angoscia. Ho lavorato tantissimo sotto l’aspetto mentale, inizio a vederne i frutti».
Un giornalista, tempo fa, ti aveva paragonato ad una ballerina: tutto quello che facevi sembrava facilissimo, il tuo modo di stare in campo rendeva la partita di tennis un balletto…
«Sono cresciuta con tutti che mi dicevano: dovresti essere così, dovresti fare così, giochi benissimo e tante altre cose. Tutto ciò non faceva altro che aumentare la pressione che già avevo. E’ un bel complimento, ma in quel momento per me era un peso troppo grande da portare».
Che differenza c’è, secondo te, tra un giocatore talentuoso ed un campione?
«La disciplina. Tutti al giorno d’oggi sanno giocare bene. Talenutoso o meno, se lavori al meglio e fai il tuo dovere in campo, questo ti aiuta a diventare un campione. Per me è stato difficilissimo avere la stessa voglia di lavorare: un giorno vincevo ed ero felice, l’altro perdevo e davo la colpa al vento, al tempo, non volevo parlare con nessuno, mi ritenevo una non in grado di giocare bene a tennis. La disciplina non è questo, di fatti non ero in un momento felice».
Che cosa è cambiato nell’ultimo periodo che ti ha portato a vedere tutto in una maniera diversa?
«Un passaggio fondamentale è stato quello di cambiare il coach. Quello che attualmente mi segue ha cominciato a collaborare con me circa un anno e mezzo fa. Parliamo tantissimo, mi segue e mi aiuta senza sosta. Dopo i tanti momenti difficili del 2014 mi aiutava sempre a cambiare prospettiva sulla vita e sul tennis. In fondo, ogni match crea la tua persona perché in campo devi affrontare tanti alti e bassi. Lui non è solo una persona che mi spiega come colpire il dritto ed il rovescio, ma qualcuno che riesce ad aiutarmi in ogni situazione complicata».
Qual è il tuo obiettivo attuale?
«Voglio continuare a lavorare, migliorare ogni dettaglio. Voglio essere più aggressiva, soprattutto quando ho il comando delle operazioni. Voglio inoltre prendere coscienza del mio gioco, tornare a competere nei tornei più importanti e continuare a divertirmi mentre sono in campo proprio come sta accadendo ora».
Tra le persone più ben volute di tutto il circuito femminile c’è una giudice di sedia, Marja Cicak, che è anche una tua connazionale. Hai mai avuto l’opportunità di incontrarla e scambiare due chiacchiere?
«Ogni tanto prendiamo un caffé insieme e parliamo di tante cose. Lei purtroppo è una giudice di sedia, io una giocatrice, per cui un’amicizia tra di noi risulterebbe complicata. Sfortunatamente, salvo situazioni estreme, non può essere l’arbitro delle mie partite. E’ un peccato, lei è una persona fantastica!».
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