TENNIS – Di Giovanni Di Leva – Alla vigilia si sapeva che l’annata in corso sarebbe stata complicata. Certo più in alto sei stato e più rischi di farti male cadendo specie se non hai alle spalle chi possa perpetuare le tue gesta. E’ questo il rischio che sta correndo il nostro tennis femminile che è stato il traino di tutto il movimento negli ultimi 10 anni grazie alle straordinarie imprese delle Fab Four nostrane.
Sembrano destinate a un aristocratico ma inevitabile declino, a causa soprattutto dell’età che avanza inesorabile (l’età di Pennetta,Vinci e Schiavone assomma a 100 anni), del logoramento inevitabile dopo una carriera lunga e intensissima come la loro e del fatto che la concorrenza è sempre più agguerrita in virtù dello sbocciare di numerose giovani campionesse in grado di dare filo da torcere anche alle migliori (ben 26 under 22 nelle top100 di cui 8 nelle top 50).
Nel 2014, dopo la straordinaria impresa di Flavia Pennetta a Indian Wells, le ragazze del magico quartetto non hanno più vinto tornei. Sara Errani, dopo Miami è uscita dalle Top 10, pur rimanendovi in scia, e ciò ha probabilmente simbolicamente sancito l’inizio del declino delle azzurre, passato attraverso la dura sconfitta nella semifinale di Fed Cup contro la Rep.Ceca,e culminato quest’anno a Genova con la disfatta contro la Francia che ha dato la spinta definitiva al clamoroso “divorzio” delle Cichi, una delle coppie di doppio più medagliate della storia riuscite nell’impresa di realizzare il Grande Slam in carriera impresa riuscita soltanto ad altre 4 coppie oltre che a Navratilova-Schriver uniche in grado di realizzare l’impresa nello stesso anno solare (1984).
L’analisi dei risultati di quest’anno finora conferma il trend sostanzialmente negativo. Fatta eccezione per Flavia Pennetta che a Indian Wells è riuscita per la terza volta consecutiva a superare la n.2 del mondo Maria Sharapova cullando il sogno di tornare in finale fino al tie break del set decisivo con la Lisicki, per le altre poca gloria. La stessa Errani che pure ha vinto a Rio De Janiero dove il livello dei partecipanti era però veramente modesto, ha collezionato una serie di sconfitte “pesanti” contro avversarie che attaccano e sanno approfittare della debolezza del suo servizio che è sempre più un handicap come avvenuto con la Muguruza a Sidney (6/o 7/5) rischiando l’umiliazione (era sotto 6/0 5/1 40-15), con la Puig (n.51) ad Acapulco (6/1 6/1), con la Mladenovic in Fed Cup (6/4 6/3) e infine con la Lisicki in California (6/4 6/2). Bilanci negativi anche per la Vinci (5w/6L), al terzo turno solo ad Hobart, sconfitta dalla Watson, e per la Schiavone che ormai non ne ha più come confermano le due sconfitte consecutive subite in America per mano della giovane cinese Zhu (n.119) che le ha inflitto nelle qualificazioni di Miami anche un bagel nel 2°set.
Ma qualcuno giustamente direbbe: non ci sono solo le Fab Four nostrane. In realtà (senza voler fare un torto alla lodevole Knapp che però non riesce a fare il salto di qualità) c’è Camila Giorgi, il nostro “diamante grezzo” il cui potenziale è fuori discussione: la cruda verità dei numeri ci dice però che a 23 anni compiuti ,la tennista marchigiana rappresenta tuttora un “incompiuta”. Continua ad essere la tennista più imprevedibile del circuito in grado di fornire prestazioni “outstanding” come quella perfetta, offerta in Fed Cup contro la quotata ed esperta Cornet, cui però a stretto giro seguono black out sconcertanti come quello subito il giorno successivo nell’incontro contro la Garcia in cui dopo aver vinto il primo set, ha subìto un parziale di 12 game a 2 o quella della settimana scorsa sul cemento californiano in cui ha lasciato strada all’inglese Watson commettendo 18 doppi falli in 12 turni di battuta.
Il salto di qualità per entrare nel novero delle campionesse, Camila ancora non l’ha fatto eppure il suo potenziale è altissimo, senza precedenti tra le tenniste azzurre. E’ difficile vincere “facendo e disfacendo tutto da sola” anche perché raramente i matchs finiscono con un saldo positivo da parte della vincitrice tra vincenti ed errori gratuiti. Si vince variando il gioco, tenendo l’avversaria in campo, sfruttando i punti deboli dell’avversaria (dopo averli capiti) e costringendo l’avversaria all’errore. Adesso Camila ha un nuovo coach e speriamo che questi possa farle trovare quell’equilibrio mentale necessario per arrivare in fondo ai tornei, specie quelli che contano.
Il dramma di tutto questo è che il nostro tennis femminile è aggrappato a Camila come il naufrago alla zattera. E’ l’unico anello di congiunzione tra il presente e il futuro anche perché purtroppo nelle retrovie vi è il buio più assoluto. Abbiamo 20 tenniste tra le top 500 di cui solo 2 con meno di 22 anni: Paolini classe 96 (n.350) e Matteucci classe 95 (n. 483). Non c’è da stare allegri ma se Camila imbocca la retta via, il futuro del nostro tennis femminile può continuare ad essere roseo. Non conta l’abbondanza ma la qualità.
L’asfissia del nostro tennis nella capacità di generare buoni giocatori in grado di approdare tra i top 100 caratterizza anche il settore maschile. Basti pensare che dal 2007, l’unico italiano a fare il suo ingresso per la prima volta tra i top 100 è stato Lorenzi nel 2009 a quasi 29 anni. I nostri tennisti di punta pertanto invecchiano (l’età media dei 4 azzurri tra i Top 100 è di oltre 30 anni ) senza che in prospettiva ci siano garanzie di avvicendamento adeguato. Ma è pur vero che, a differenza delle ragazze, il nostro tennis maschile non esprime risultati di eccellenza dai tempi di Panatta e Barazzutti il che fa vedere le cose con più “leggerezza”.
Ma guardiamo la realtà presente partendo dai responsi della stagione scorsa riguardo ai nostri 3 tennisti di punta che in realtà esauriscono il potenziale del tennis azzurro, richiamando le aspettative (ma anche le i previsioni negative ) alla vigilia dell’annata in corso per ciascuno di loro: il recupero soprattutto mentale di Fognini dopo un 2014 che sarebbe dovuto essere l’anno della consacrazione del tennista ligure ritenuto un anno fa in competizione con Nishikori e Dimitrov per entrare tra i Top Ten e che invece ne ha messo a nudo una fragilità mentale inaspettata che oltre ad incidere sui risultati agonistici, rischiava di comprometterne anche la sua immagine di sportivo.
La seconda carriera di Bolelli che a 29 anni, dopo le tribolazioni degli anni passati a causa di problemi fisici e personali che lo avevano visto inabissarsi fino alla 367° posizione nell’aprile scorso, aveva saputo, nel 2014, con umiltà e spirito di sacrificio iniziare una faticosa ma molto promettente risalita passando attraverso i tornei Challenger ma fornendo prestazioni convincenti anche nel circuito maggiore e soprattutto nelle occasioni che contano come accaduto a Wimbledon e agli Us Open dove ha sfidato a viso aperto e sfiorato la vittoria sia contro Nishikori che contro Robredo al termine di 5 set e uscendo tra gli applausi del pubblico. Molto positiva anche la prestazione fornita in nella semifinale di Coppa Davis contro Federer cui ha tenuto testa lungamente e chiusura dell’anno al 55° posto nel ranking.
Il progressivo lento e dignitosi declino di Andreas Seppi che a 31 anni sembrava non aver più la voglia di soffrire, requisito essenziale del suo gioco da passista. Ma nelle premesse c’è anche l’obiettivo di vedere finalmente materializzarsi il tanto annunciato talento di Quinzi, vincitore nel 2013 del torneo junior di Wimbledon, che negli ultimi 12 mesi ha visto i suoi coetanei con i quali quasi sempre l’aveva spuntata ,balzare a turno agli onori della cronaca per i risultati che sono riusciti ad ottenere nel tennis che conta (vedi Kyrgios, Coric, Kokkinakis, Zverev) mentre il nostro andava a cercare gloria in posti sperduti del globo facendo esperienze poco cos
truttive nei Futures contro avversari modesti con classifica quasi sempre inferiore alla sua.
Ebbene, il primo quarto di stagione ha evidenziato luci ed ombre ma non c’è dubbio che risulta condizionante la dolorosa debacle in Coppa Davis contro il Kazakistan che unito a quella delle ragazze ha determinato il 6° flop “combined” della storia azzurra. Vedere i nostri 3 migliori tennisti “squagliarsi” di fronte a Kukushin e compagni è stato uno choc che ci ha riportato sott’acqua quando pensavamo di poter viaggiare col vento in poppa verso traguardi mai come quest’anno molto ambiziosi sulla scorta dei buoni risultati che in singolare avevano ottenuto Seppi e Bolelli e dello storico successo del bolognese in coppia con Fognini agli Aus Open.
Le note positive a livello individuale hanno riguardato Seppi e Bolelli, gli unici con un bilancio positivo nei match disputati fin qui (rispettivamente 13w/8L e 9W/8L). L’altoatesino a dispetto delle previsioni sembra aver riacquistato energie e voglia di migliorarsi. La storica vittoria contro Federer agli Aus Open non è frutto del caso bensì il coronamento di una prestazione magistrale, probabilmente la migliore in carriera, cui Andreas ha saputo dare un seguito con la finale raggiunta a Zagabria (persa contro Garcia Lopez) e con le sconfitte più che dignitose (in 3 set) contro Berdych a Rotterdam e contro Gasquet a Dubai. Il suo allenatore storico, Sartori, è convinto che il suo pupillo possa quest’anno riuscire a ritoccare il suo best ranking (18). Sinceramente appare impresa ardua ma si resta comunque ammirati per la serietà professionale di questo giocatore che è un testimonial positivo del nostro sport e che a 31 anni si è rimesso in discussione.
Quanto a Bolelli, ha ha dato ulteriore sostanza ai progressi evidenziati lo scorso anno. Ha ritrovato fiducia e consapevolezza dei propri mezzi a sostegno delle quali ci sono significativi miglioramenti atletici, tecnici e nell’atteggiamento in campo tendenzialmente più propositivo e offensivo di prima (killer insticnt). D’altra parte la prestazione con cui ha sorpreso Raonic a Marsiglia, ma anche contro Federer agli Aus Open ,con lo stesso Raonic a Rotterdam e con Berdych a Dubai ,il tennista bolognese ha comandato il gioco per larghi tratti e in ogni caso giocando alla pari fino alla fine. Con la vittoria di Marsiglia su Raonic, n.6 del mondo, Bolelli ha infranto un tabù storico, vincendo per la prima volta contro un top 10 al 35° tentativo. Poi però c’è stata la figuraccia contro Kukushin in Coppa Davis (6/7 1/6 2/6) e la prestazione sottotono a Indian Wells nel terzo confronto dell’anno contro Raonic (nessuna palla break e 3/6 4/6 finale). Ora ben vengano le vittorie in doppio con cui, insieme a Fognini, potrebbe riscrivere la storia del doppio in Italia, ma Simone non deve correre il rischio (magari inconsapevole) di farsi allettare dai più sicuri e meno faticosi guadagni che può ottenere dal doppio ,allentando l’attenzione sul singolare che invece deve rimanere il principale obiettivo .Bolelli compie anch’egli 30 anni a ottobre. Non ha moltissimo tempo per fare il salto di qualità di cui ha dimostrato di essere capace. E’ fondamentale cancellare al più presto la data del suo best ranking (23 febbraio 2009). E’ da li che partono i nuovi traguardi di Simone.
Ma se Bolelli ha rispettato sta rispettando le aspettative e Seppi ha sovvertito le previsioni,la nota dolente riguarda purtroppo il nostro n.1: Fognini non sembra riuscire a liberarsi dal conflitto interiore che lo tormenta e che gli impedisce di avere in campo la serenità e di conseguenza l’equilibrio necessario ad assicurargli la continuità di rendimento che gli consentirebbe,in funzione delle qualità tecniche e atletiche indiscutibili, di vincere sistematicamente contro avversari dietro di lui in classifica e poter di conseguenza affrontare con serenità i più forti dal venerdì in poi. Il suo bilancio è stato fin qui di 5 vittorie (di cui 4 ottenute a Rio tra cui quella su Nadal e dove è giunto in finale) e 7 sconfitte con 5 uscite al primo turno. La cosa che fa più male è assistere a prestazioni come quelle offerte contro Berlocq a Buenos Aires (3/6 0/6) in cui Fabio è apparso “dissociato” al punto da desiderare solo di uscire dal campo. L’exploit contro Nadal a Rio ci aveva illuso. Speravamo che fosse l’inizio della svolta ma ancora una volta così non è stato. Il tennis italiano ha bisogno di Fognini che continua a rappresentare il presente del nostro tennis maschile ,ma obiettivamente sempre più, per crederci, c’è bisogno di un atto di fede. Adesso comincia la stagione sulla terra, superficie prediletta dal tennista ligure. Abbiamo ancora negli occhi le immagini dell’impresa compiuta da Fognini contro Murray in Coppa Davis lo scorso anno. E’ realtà vissuta e non possiamo rassegnarci all’idea che non possa ripetersi.
In sintesi: per il presente non abbiamo certezze assolute ma abbiamo avuto la conferma di avere 3 giocatori in grado (se in giornata) di essere competitivi ad alto livello e mantenere stabilmente una classifica che consenta loro di entrare come tds nella maggior parte dei tornei, il che è un vantaggio notevole. Speriamo siano in grado di dare continuità alle loro prestazioni e di sentirsi ambiziosi abbastanza, sapendo di poterlo essere. Circa il futuro (e quindi Quinzi) vorremmo quest’anno dei segnali che stentano ad arrivare. Abbandoniamo per ora i sogni di gloria ,non facciamo paragoni con i suoi coetanei più precoci, e speriamo, adesso che con il suo nuovo coach(l’argentino Monachesi) sembra aver trovato una assistenza adeguata, che Gianluigi possa imboccare la strada per diventare un ottimo giocatore.
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