TENNIS – Di Samuele Delpozzi – What a difference a year makes? Riadattando leggermente il celebre motivo di Dinah Washington, otteniamo un perfetto riassunto della parabola di Donna Vekic – nome e fattezze da Beverly Hills 90210, a dispetto delle origini balcaniche – passata dall’altare alla polvere in poco più di un anno.
Alta, bionda, avvenente e corteggiata dagli sponsor, la croata possiederebbe (almeno sulla carta) tutti gli ingredienti necessari a diventare la nuova “It girl” del circuito. Anche l’ambizione sembrava non mancarle, agli inizi: qualche anno addietro, in un’intervista per la TV britannica, descrisse il suo gioco come “un incrocio tra Sharapova e Wozniacki” – guardacaso due lolite di notevole successo – dichiarando di aver tratto grande ispirazione dal trionfo a Wimbledon 2004 della siberiana, allora appena diciassettenne. Con l’auspicio di ripercorrerne le orme in tempi brevi, ovviamente. Insomma, ostentazione di grande fiducia nei propri mezzi – se non proprio spavalderia – da parte di una ragazzina ancora impegnata nel circuito junior, già dotata di un ottimo diritto ed una prima palla pesante, ma ancora all’abbecedario quanto a mobilità e varietà di schemi.
I primi risultati di rilievo non tardano però ad arrivare: nel 2012, a Tashkent, diventa una delle più giovani finaliste WTA del nuovo millennio, chiudendo poi la stagione a ridosso della top100. Pochi mesi più tardi debutta negli Slam all’Australian Open e vince un 50 mila dollari in Turchia, ma è sui prati inglesi a stupire nuovamente: a Birmingham conduce una cavalcata esaltante fino all’ultimo atto, dove cede di misura all’esperienza di Daniela Hantuchova. A Wimbledon divampa immediatamente la Donnamania – qualcuno azzarda pure a pronosticarla mina vagante dei Championships, vagheggiando un possibile approdo alla seconda settimana – ma Petra Cetkovska riporta tutti quanti sulla terra, non intesa come superficie, con un perentorio 63 6 1 all’esordio.
Sembra solo un incidente di percorso – a breve arriva anche il best ranking al numero 62 – e invece il giocattolo, misteriosamente, si rompe. Vince solamente altre quattro partite fino al termine della stagione, trend negativo che prosegue anche nel 2014: una via crucis dolorosa di primi turni, finalmente interrotta dall’inaspettata vittoria nel WTA di Kuala Lumpur, dove si concede il lusso di sconfiggere in finale Dominika Cibulkova, top10 e fresca finalista a Melbourne. Di nuovo, molti pensano possa essere la svolta definitiva dopo una crisi tutto sommato normale, nel percorso di crescita di una giocatrice non ancora maggiorenne. Di nuovo, molti si sbagliavano. Un problema alla spalla ne condiziona il rendimento sulla terra battuta, superficie di per sé già poco amata, ma la gestione del danno pare quantomeno nebulosa: la croata continua a giocare quasi ogni settimana, e le batoste proseguono ad impilarsi in maniera proporzionale ai selfie pubblicati sui social network (dov’è, manco a dirlo, seguitissima).
Quasi a crudele contrappasso, è proprio il torneo di Birmingham – passerella trionfale solo 12 mesi prima – a segnare il punto di non ritorno. Sorteggiata all’esordio contro Belinda Bencic, più giovane di un anno ma già davanti in classifica e nella considerazione degli addetti ai lavori, la Vekic subisce un bello smacco in campo, battuta con un duplice 64. Le va anche peggio fuori, strigliata a muso duro dall’allenatore per una condotta a dir poco immatura: all’ennesima lamentela sul campo troppo umido e scivoloso, coach Felgate perde la pazienza e le ricorda che sull’erba si gioca a tennis da 150 anni, giusto un pizzico di storia, quindi meno capricci e più concentrazione. L’episodio, apparentemente di poco conto, segna invece una frattura insanabile nei loro rapporti, che termineranno in estate dopo oltre 6 anni di collaborazione.
Privatasi volontariamente della guida tecnica che l’aveva formata, l’ex Prima Donna va sempre più alla deriva, nave senza nocchiere in gran tempesta. E se il 2014 si era concluso con una serie di sconfitte tutto sommato onorevoli nel punteggio, il nuovo anno inaugura un capitolo ancora più penoso per la diciottenne di Osijek: le disfatte assumono proporzioni di autentiche Waterloo, una grandinata di 60 e 61 – ben 7 in appena 8 incontri stagionali – rimediati da avversarie men che irresistibili.
Punto di minimo assoluto, la recentissima trasferta di Fed Cup a Budapest, dove la capitana Iva Majoli, priva di Lucic e Martic, è costretta a schierarla come numero 1 per ragioni di classifica. Lungi dall’incarnarne la leadership, la Vekic si rivela semmai zavorra del team croato, sostituita dalla Vrljic contro il Belgio ed asfaltata sia dall’esordiente Ostapenko che da Aleksandra Krunic: la batosta contro la serba, in particolare, condanna la sua nazionale ad una sanguinosa sconfitta nel derby balcanico, sempre molto sentito. Ulteriore carico da novanta su di un quadro già tanto sconfortante, è costretta anche ad assistere allo sbocciare di Ana Konjuh – classe ’97 dal talento cristallino – che trascina quasi da sola la Croazia, in singolo e doppio, fino ai playoff promozione persi contro le cugine. Konjuh ormai prossima a sopravanzarla anche in classifica, peraltro: questione di giorni.
L’ultimo incontro è di questa settimana, al WTA di Pattaya, dove rimedia un 62 60 da una giocatrice acciaccata ed ancora senza vittorie nel 2015, la cinese Shuai Zhang: il bilancio stagionale dei match vinti/persi recita ora un deprimente 26, addirittura 822 dal trionfo malese dello scorso aprile. Una caduta libera che ricorda tristemente la parabola di un altro talento precocissimo, quella Nicole Vaidisova ritiratasi ad appena vent’anni, nauseata dal tennis e totalmente disinteressata alle vicende in campo durante l’ultimo anno di attività – ritratto che pare calzare a pennello alla Donna attuale. La ceca, ultima minorenne ad essere entrata in top10, si è presa quasi un lustro sabbatico per disintossicarsi dalle scorie mentali e fisiche del burnout: ora, dopo una delicata operazione alla spalla, è tornata a divertirsi e a divertire, protagonista di un’inattesa resurrezione nell’ITF di Midland.
Una pausa rigenerante – si spera meno lunga – sembra quindi necessaria anche alla Vekic, appena cancellatasi dai ricchi appuntamenti di Doha e Dubai. A neppure 19 anni, ha davanti a sé almeno altre due o tre vite tennistiche per provare a risorgere: non può tuttavia prescindere dal suo personale Ground Zero, la ricostruzione dalle fondamenta di un ingranaggio andato definitivamente in pezzi dalla separazione con David Felgate – tra i tanti, forse l’errore più marchiano.
Se anche non dovesse mai diventare la nuova Sharapova, l’obiettivo minimo è far tornare a parlare la racchetta, la vera assente in questa lenta discesa agli inferi. E possibilmente ridurre a mero contorno glamour quel “40° tennista più cliccata nel 2014!” che aleggia malinconicamente sul sito ufficiale. Ultimo, emblematico flash di una carriera in dissolvenza.
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