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Novak Djokovic e il tennis, quel posto felice che gli ha salvato la vita

TENNIS – Di Daniela Dolce. Dai campetti di Kopaonik alla Rod Laver Arena: una storia che inizia quasi per caso e che oggi regala a Novak Djokovic il suo ottavo trionfo nel circuito Major. Padre, marito, campione.


Kopaonik, 1993. È estate, non tra le più felici per una Serbia ancora scossa dai disastri bellici. Nella capitale dell’ex-Jugoslavia il nome Djokovic è conosciuto soltanto per una pizzeria in un paesino di montagna, dove Srdjan e Dijana trascorrono gran parte delle loro giornate. Jelena Gencic, invece, è già una delle maestre di tennis più famose del paese e arriva con un gruppetto di allievi nei campetti costruiti di fronte alla pizzeria dei signori Djokovic,
per organizzare un corso estivo. Un ragazzino di sei anni ancora timido e impacciato (forse farete fatica ad immaginarlo, eppure anche lui lo è stato) si ferma ad osservare, incuriosito da quella novità che irrompe nel silenzio del suo angolo di montagna. La maestra lo invita a farsi avanti e, dopo qualche esitazione, lui decide di provarci.

Quello tra Novak Djokovic e il tennis è un incontro apparentemente casuale, tra i più semplici e genuini che si possano immaginare. Un incontro che forse, in circostanze diverse, sarebbe potuto non accadere. Eppure c’è stato e ci piace pensare che poi tanto casuale non fosse, così come credeva la maestra Gencic: “Tra i miei allievi c’è un piccolo genio, un bambino d’oro. Vostro figlio ha del talento, deve giocare a tennis: diventerà un campione”  Talento: questa è stata la prima fortuna di Novak. La seconda, naturalmente, quella di nascere in una famiglia che si è potuta permettere uno stile di vita dignitoso, in un contesto decisamente difficile.

Maestra di tennis e di vita, Jelena ha fatto molto più di quanto spettasse ad un semplice allenatore: ha spiegato ad un bambino di sei anni quanto fosse importante saper parlare “almeno due lingue”, ha domato la sua indole fumantina (sì, quella c’è sempre stata) con la musica classica e gli ha recitato le poesie di Pushkin. Nole ha una corpicino magro, magrissimo… quel rovescio a una mano non fa proprio per lui. Dopo due anni di tentativi, la maestra Gencic lo convince ad aggiungere la seconda mano e inizia a costruire quello che poi sarebbe diventato uno dei maggiore punti di forza del suo tennis. Nel frattempo, mentre Pete Sampras solleva il suo primo trofeo d’oro sul Centrale dell’All England Club, Djokovic guarda la tv e pensa che quel torneo deve aver proprio qualcosa di speciale, di magico. Nasce così quel sogno chiamato Wimbledon: Nole compra un trofeo in miniatura, lo porta sul campo sotto casa e urla “ho vinto, sono il campione!”

La notte del 23 aprile 1999 la Nato bombarda gli studi della RTS e per la Serbia si apre un nuovo capitolo di una storia mai finita. La famiglia Djokovic ha già fatto ritorno a Belgrado da qualche anno; il tennis è ormai parte fondamentale delle giornate di Novak, che non vuol pensare a ciò che sta accadendo intorno a lui, ma vuole giocare, giocare, soltanto giocare a tennis. L’accademia di Niki Pilic costa al signor Srdjan una retta di 5000 marchi, ma ormai mamma e papà ci credono e Jelena Gencic garantisce, ne varrà la pena. Niki pensa ad un programma fatto su misura per il suo allievo, tra gli esercizi con la benda di gomma per aumentare la flessibilità del suo polso e le ore passate, giorno dopo giorno, a palleggiare contro un muro. Per lui ormai il tennis non è soltanto sinonimo di passione: è impegno, determinazione, devozione totale. Bastano pochi anni e, nel 2003, il nome Djokovic compare nel panorama tennistico internazionale.

Nel 2005 Novak termina la sua prima stagione pro all’83esima posizione del ranking mondiale: a 18 anni e 5 mesi, è il più giovane tennista della top 100. Nel 2007 arriva la prima vittoria contro Rafa Nadal a Miami, match che segna l’inizio di una delle più grandi rivalità del tennis odierno. Nel 2008 batte Roger Federer in semifinale a Melbourne e Tsonga in finale, conquistando il suo primo titolo Slam. Ma questa è un’altra storia, un altro Nole. Djoker ora si diverte con le imitazioni dei suoi colleghi e non si preoccupa se qualcuno storce il naso, perché lui è fatto così, ama tanto scherzare e un po’ meno controllarsi; segue uno stile di vita sano ed equilibrato, va a correre ogni giorno e pratica yoga. Al suo fianco c’è Marian Vajda, ex capitano del team slovacco di Coppa Davis. Nel frattempo, il destino ha voluto che nel suo cammino incrociasse un’altra Jelena: ha 19 anni e studia economia a Milano; la distanza si fa sentire, ma il tennista serbo ormai ha messo la testa a posto (o forse l’ha sempre avuta ben salda sul collo) e sa già cos’è che conta nella sua vita.

Il 2011 è l’anno d’oro: inizia al terzo posto del ranking e finisce al vertice; nel mezzo, tra i tanti successi, il secondo Australian Open, la vittoria a Flushing Meadows e, finalmente, Wimbledon. Stavolta il trofeo non è una miniatura, pesa oltre 3 kg, ma Novak non è più il ragazzino minuto dalle braccia sottili e alza fiero la sua coppa al cielo, dedicandola a chi ha contribuito a trasformare il sogno in realtà. Ogni campione ha le proprie armi segrete e quella di Djokovic è estremamente semplice: la dieta. Scoperta l’intolleranza al glutine, il dottor Igor Cetojevic mette a punto un nuovo regime alimentare che il suo paziente segue senza batter ciglio e che lo porta a raggiungere il perfetto equilibrio psicofisico. Grinta, passione, determinazione. Sono passati 22 anni, ma le parole d’ordine non sono cambiate.

Oggi, 1 febbraio 2015, Nole batte il collega e amico Andy Murray e conquista il suo ottavo titolo Slam a Melbourne: una performance lontana da quelle della sua versione deluxe, ma comunque vincente. A stringergli la mano nel suo box c’è Boris Becker. Con il quinto sigillo australiano, il numero uno del mondo scrive un pezzetto di storia. È record, è il suo record. E non è un caso che tra i suoi ricordi in conferenza stampa riaffiori proprio colei che ha dato inizio a tutto: “Jelena è sempre presente. Ogni mio trofeo è anche il suoMa stavolta c’è di più: Djokovic è padre e marito, la famiglia rappresenta il valore più importante per lui, ma non smette di lottare sul campo da tennis. Quel posto felice che ventidue anni fa gli offerto una via d’uscita. “Questa vittoria ha un significato molto più profondo. Gioco anche per le persone che mi stanno accanto e che hanno fatto tanti sacrifici per la mia carriera. Sono felice e amo la mia vita, non potrebbe essere più bella di così.” 

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