TENNIS – Di Diego Barbiani
Così silenziosa, particolarmente introversa, da passare per tanto tempo inosservata. Karolina Pliskova non è una tra le giocatrici più loquaci, parla poco e per tutti questi anni ha fatto in modo che sia stato il suo gioco esplosivo a farlo e come vera amica non ha altre che sua sorella gemella Kristyna, riconoscibile rispetto a lei perché mancina. Insieme sono nate, cresciute, hanno condiviso le giornate, le ore, i minuti, le passioni, a volte anche i successi.
Volevano diventare giocatrici di basket, forse a guardarle ora verrebbe da chiedersi cosa le abbia portate a giocare a tennis. All’epoca erano entrambe troppo basse, ora per guardarle dritto negli occhi bisogna essere alti più di un metro ed ottanta. Avevano quattro anni quando il papà Radek le ha portate per la prima volta in un campo da tennis. La vita le cambiava, ma sono rimaste sempre insieme tanto da che viene ancora difficile parlare dell’una senza citare l’altra, sia nel bene che nel male. Nel 2010 entrambe hanno ottenuto una vittoria a livello di tornei dello Slam junior tra Australian Open (Karolina) e Wimbledon (Krystina), insieme hanno vinto il primo titolo di doppio di una coppia di gemelle a Linz nel 2013. In quello stesso anno Karolina ha però colto l’occasione di sbloccarsi anche in singolare, con il successo a Kuala Lumpur, e da lì, come lei stessa ha ammesso, la sua vita nel mondo del tennis professionistico è svoltata: «Passare da junior al mondo professionistico vero e proprio è stato piuttosto difficile. La differenza è tanta ed a nessuno interessa se tu da junior eri brava o hai vinto tornei dello Slam. Ero classificata ancora attorno alla posizione 150 o 200 quando ho vinto in Malesia e grazie a quello sono entrata per la prima volta in top-100. Personalmente credo sia stato il mio punto di svolta». Vero, ma sono in pochi quelli che poi riescono davvero ad emergere in maniera così importante come sta facendo lei dallo US Open, quando arrivò il primo importantissimo risultato: la vittoria al secondo in due set su Ana Ivanovic, allora testa di serie n.9 e grande protagonista dell’estate nord-americana. Quel pomeriggio, in maniera concreta, Karolina Pliskova si è rivelata al mondo intero.
Non si tratta della semplice giocatrice in grado di impostare un braccio di ferro con l’avversaria a chi tira più forte, perché sono in poche quelle in grado di generare certe accelerazioni. Vedere solo il dato sulla velocità è però riduttivo, perché nasconde quello che è il suo vero talento: un tempo d’impatto sulla palla da rimanere a bocca aperta. Pure Andy Murray l’ha notato, scrivendo un messaggio a tutti i suoi followers su Twitter a metà gennaio, durante il torneo di Sydney: “Se Karolina Pliskova diventerà più veloce (negli spostamenti, ndr) sarà una giocatrice da tenere veramente in considerazione. Divertente da guardare, fa ace, gioca vincenti, ottimo timing sulla palla…”.
Proprio sul dettaglio fatto notare dallo scozzese, la ceca ha detto: «E’ vero, sono la mia debolezza, ma ho cominciato a lavorare intensamente per ridurre questo lato negativo e spero tanto che un giorno Murray potrà dire che ho imparato ad essere abbastanza veloce per i suoi standard». E’ seguita da Jiri Vanek, ex giocatore professionista della Repubblica Ceca, e si allena a Praga, al Czech Lawn Tennis Club dopo una parentesi in Germania a dieci anni.
La sua carriera, da quello US Open, si è impennata vertiginosamente. Tre finali e due vittorie negli ultimi tornei del 2014, già due finali (le prime a livello di tornei Premier) in questo inizio di 2015: ha perso a Sydney ed a Dubai da Petra Kvitova e Simona Halep. Ha perso, ma non è stata mai messa al tappeto. In entrambe le situazioni è stata sconfitta per una manciata di punti, un momento di tensione, un momento di scarsa lucidità. Sono tante le incognite su un campo da tennis, soprattutto in momenti decisivi come quelli.
A Doha si è arrestata dopo “appena” due turni, contro Carla Suarez Navarro, in condizioni fisiche al limite. E’ stato un primo mese e mezzo, il suo, vissuto a ritmi folli. Ha già percorso quasi cinquantuno mila chilometri, da Praga a Brisbane, da Brisbane a Sydney e poi a Melbourne, da Melbourne a Montreal, da Montreal agli Emirati Arabi con tappa intermedia ad Anversa. Costretta alle volte a situazioni al limite, come a Dubai quando è atterrata alle tre del lunedì mattina e tempo dodici ore ed era già in campo a giocare ed a vincere.
Il mondo attorno a lei sta cambiando, ma quello che non cambia sono i suoi punti di riferimento. «Vorrei che anche Kristyna possa raggiungere il mio livello. Lei è l’unica con cui davvero voglio passare le mie giornate lontano da casa
Karolina è ormai ad un passo dalla top-10 e se l’esaltante ruolino di marcia continuerà, ben presto potrebbero aprirsi definitivamente le porte dell’élite tennistica attuale. Lei però vuole vivere alla giornata: «Non mi pongo obiettivi precisi, considero positivo già essere una giocatrice tra le prime 20 del mondo e spero di rimanerci per tantissimo tempo». A Melbourne, nel primo torneo dello Slam da testa di serie, ha avvertito un po’ di pressione e non è riuscita a far meglio del terzo turno, ma tutto questo le tornerà utile in futuro, quando spera di poter giocare per i titoli più importanti assieme a Kristyna. Tra gemelli si costruiscono legami che forse non si possono avvertire all’esterno, ma che sono indissolubili. Anche a migliaia di chilometri, vicende ed emozioni diverse.
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