TENNIS – ATP DUBAI – Di ROSSANA CAPOBIANCO – Djokovic rimane il numero uno del mondo con merito, è il giocatore più forte e continuo del circuito; i momenti Federer, le sue sequenze e i suoi abbagli, però, continuano a stupire anche il serbo, sotto 17-20 nei confronti diretti. Roger Federer invecchierà mai?
Sette su sette. Due su due. I dati chiave della finale di Dubai sono questi: sette palle break su sette salvate da Federer, due break su altrettante probabilità. Una rarità per Roger, erroneamente chiamato “numero uno del mondo” dal direttore del torneo durante la premiazione. Confuso probabilmente dalla prestazione che Federer oggi ha sfoderato contro un buon Novak Djokovic, reale numero uno del ranking mondiale (e meritatamente).
Confusi anche noi, spettatori di qualcosa che non ci aspettavamo. Due, tre anni fa, anche quattro, anche l’anno scorso. Ma quanti anni ha Federer? “Continuano a dirmi che sono vecchio ma sono incredibilmente giovane!” scherza Roger ai microfoni, molto soddisfatto di sé. Il 2016 dovrebbe/potrebbe essere l’ultimo anno di Federer, che però non ha mai confermato questa previsione: ci risulta difficile crederlo, ci risulta incredibile anche pensare ad un futuro nel quale non giochi così.
Il modo con il quale ha vinto ci ha impressionati: le sequenze di punti nei momenti chiave e di pericolo nel match sono state abbaglianti; quella volé di dritto a salvare il set point sul 5-4 15-40 per Djokovic ha fatto sorridere anche Nole: riga. Poi servizio vincente. Poi ace, ace. Più di 9000 in carriera, raggiunti oggi. Quarto nella storia dietro a Roddick, Karlovic e Ivanisevic. Con Andy raggiungibile tra non molto, al quale non rimarrà neanche questa soddisfazione contro l’elvetico (yo selfish bastard, direbbe Roddick).
I momenti Federer, per citare Foster Wallace, non passano mai. Sono sempre lì dietro l’angolo, a ogni latitudine, a ogni anno che passa e aspetti un passo falso seguito da un altro e una passione che finisce: la passione di Roger però va di pari passo con la sua professionalità e in quei momenti, come direbbe Andre Agassi, migra in un posto che non possiamo raggiungere, nemmeno pensare.
Lo capisce bene l’acuto Djokovic, che sebbene abbia il tennis per dar fastidio a Federer (oltre che la forza) ne subisce sempre un po’ il carisma, l’aura, vittima di uno sbigottimento che lo porta a parlottare tra sé quando le cose non vanno bene contro lo svizzero (20-17 il testa a testa aggiornato).
Le partite tra di loro sono sempre il miglior spot per il tennis: contrasto di stili, equilibrio, attacco contro difesa, rischio contro solidità, personalità da prima donna.
Ma come un editore direbbe per un grande autore, Federer ha “il tocco”. Che no, non si limita a descrivere la delicatezza della sua mano destra quanto un modo di oltrepassare leggi fisiche e schemi tattici che talvolta rompe logica e pronostico.
Non chiedetegli di vivere ancora i suoi anni di dominio, di macinare campi e chilometri undici mesi su dodici, anche perché, a questo punto, potrebbe anche non interessargli: quei “momenti”, quelle sequenze, sono come quegli stralci di letteratura che ingannano l’orizzonte delle attese, dei piccoli capolavori sportivi. Conditi da una marea di record.
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