TENNIS – DI FABRIZIO FIDECARO – Ufficializzando la sua rinuncia a rappresentare la Svizzera nel 2015, Roger Federer ha dichiarato che giocare la Coppa Davis è stato un peso per tutta la sua carriera. In molti la pensano come il fuoriclasse di Basilea: che cosa fare per rilanciare l’insalatiera?
«Giocare la Davis? È stato un peso per tutta la mia carriera». Così si è espresso Roger Federer non più tardi di qualche giorno fa, ufficializzando la sua rinuncia alla prova a squadre per l’intero 2015. Una scelta che sa di chiusura definitiva di un capitolo, che fa apparire poco probabile un suo rientro l’anno prossimo, quando, invece, Roger dovrebbe rappresentare la Svizzera ai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro, evento che in molti ipotizzano come il probabile ultimo atto del suo straordinario percorso professionistico. L’affermazione su Richard Gasquet a Lille, dunque, resterà, con ogni probabilità, il brillantissimo epilogo di un rapporto contrastato.
«La Coppa è una delle cose che mi hanno provocato più difficoltà», ha proseguito Roger. «Ho ricevuto molta pressione da parte della mia federazione e dell’Itf. In Davis ho disputato tanti match, e l’anno scorso ho giocato soprattutto per i miei compagni: ci tenevo che Stan, Michael e Marco (Wawrinka, Lammer e Chiudinelli, ndr) la vincessero, se lo meritavano. Con il successo del 2014 credo di aver raggiunto l’obiettivo».
Non si può negare che le parole sincere di Roger abbiano l’impatto di una vera mazzata sull’insalatiera. Che la più prestigiosa competizione per team nazionali abbia condizionato in negativo la carriera di uno dei maggiori fuoriclasse di ogni tempo è un fatto che non può non indurre a qualche riflessione. Per molto tempo, in effetti, Federer ha giocato in Coppa solo una volta ogni stagione, cercando di salvare i rossocrociati dalla “serie B” nei play-off settembrini. Per il resto, la scomodità delle date, unita spesso all’obbligato cambio di superficie e magari a lunghi viaggi per le trasferte, ha spesso scoraggiato il campione di Basilea dal partecipare, e il medesimo discorso vale per parecchi altri top player. I primissimi della classe sono concentrati sulla loro programmazione individuale e la Davis rappresenta spesso un intralcio non da poco.
Che cosa fare per risolvere la questione? Se ne parla da anni, e la soluzione, al momento, non si è ancora trovata. L’attuale formula con il World Group a sedici squadre, entrata in vigore nel 1981, non è più stata modificata da allora. Le proposte di variazioni si sono susseguite: giocare in un’unica sede per un paio di settimane (un sistema simile era in vigore tempo fa per la Fed Cup), mettere in calendario l’evento solo ogni due stagioni (o quattro, come le Olimpiadi e il campionato del mondo di calcio), introdurre il round robin almeno fino alle semifinali, alleggerire le fasi iniziali giocando solo due singolari e un doppio, o magari al meglio dei tre set.
Va detto che nel 2015 si è già fatto qualcosa per venire incontro alle esigenze dei big, spostando in avanti i primi turni, da subito dopo gli Australian Open alla vigilia dei Master 1000 sul duro nordamericano, e i quarti di finale, dalla prima settimana di aprile alla metà di luglio. Si tratta di decisioni sagge, tese ad alleggerire certi periodi della stagione occupandone invece altri più sostenibili. Tutto ciò, però, non sembra ancora sufficiente: sarà necessario che le parti in causa si ritrovino attorno a un tavolo per elaborare e poi mettere in pratica nuove idee. Solo così si potrà rilanciare davvero una manifestazione dall’atmosfera unica, ma che non di rado dimostra in pieno il suo secolo abbondante di età.
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