TENNIS – DI FABRIZIO FIDECARO – Bolelli/Fognini, Mattek-Sands/Safarova e Hingis/Paes hanno vinto agli Australian Open i tornei di doppio. Una specialità in crisi irreversibile, snobbata dai big, divenuta terreno di conquista anche per veterani e coppie improvvisate.
Gli ultimi Australian Open hanno raccontato storie interessanti e significative nei tre tornei di doppio. In quello maschile, con la vittoria di Simone Bolelli e Fabio Fognini, cinquantacinque anni dopo l’unico centro Slam italiano nella specialità, colto da Nicola Pietrangeli e Orlando Sirola al Roland Garros. Nella prova femminile, con il successo della statunitense Bethanie Mattek-Sands e della ceca Lucie Safarova, alla loro prima uscita assoluta di coppia. Nel misto, con il ritorno di Martina Hingis su un trono Major dopo nove anni esatti.
È evidente come il doppio attraversi un – ormai lunghissimo – periodo di crisi, che appare irreversibile. I grandi nomi si guardano bene dal prendervi parte, e così vi trovano gloria comprimari, team improvvisati o veterani sull’orlo della pensione. A Melbourne Bolelli e Fognini – che, a scanso di equivoci, non rientrano in nessuna delle tre categorie sopracitate – sono stati bravissimi a conquistare il titolo, ma, per dire, i loro avversari nel match clou, i francesi Pierre-Hugues Herbert e Nicolas Mahut, non figurano tra i primi cento in singolare (al momento sono rispettivamente n. 111 e 112) e nessuno di coloro che formano la coppia eliminata in semifinale,l’olandese Jean-Julien Rojer e il rumeno Horia Tecau (numeri 6 del seeding), dispone di una classifica individuale.
L’Atp Doubles Ranking vede sempre dominare i gemelli 36enni Bob e Mike Bryan, seguiti dal 38enne serbo Nenad Zimonjic e dal 31enne brasiliano Marcelo Melo, tutti privi di ranking in singolare, dove mai in carriera sono stati fra i top 100. Si ha un bel dire che sono discipline diverse, ma allora come mai quando, tanti anni or sono, i big giocavano anche il doppio, molto spesso trionfavano anche lì?
Con questo discorso non si intende affatto sminuire l’affermazione di Simone e Fabio, che sono stati lesti ad approfittare della situazione favorevole e formano una coppia più che valida, come hanno già dimostrato anche in maglia azzurra. Ma, passando al settore femminile, se due che non hanno mai giocato assieme in vita loro vincono uno Slam alla prima uscita, viene naturale riflettere e porsi qualche interrogativo. Mattek-Sands e Safarova sono due fenomeni oppure anch’esse sono state abili nello sfruttare un tabellone dalla qualità non esattamente irresistibile?
Per non parlare del misto, ridotto quasi al rango di esibizione. La specialità ha improvvisamente acquisito un’effimera importanza nell’estate del 2012, quando è tornata a figurare nel calendario olimpico, regalando così l’opportunità di una medaglia in un mini-tabellone a sedici posti, che né Errani/Seppi né Vinci/Bracciali sono riusciti a cogliere. A Melbourne la Hingis ha fatto suo il titolo accompagnandosi all’indiano Leander Paes, quarantadue anni il prossimo giugno, noto anche per essere stato il partner di Martina Navratilova nelle sue ultime imprese tennistiche: i successi agli Australian Open e a Wimbledon 2003, le finali a Melbourne 2004 e al Roland Garros 2005, quest’ultima raggiunta dalla straordinaria mancina nata a Praga a quasi quarantanove primavere.
Che cosa fare per correre ai ripari? Difficile dirlo. I buoi sono scappati da tempo e chiudere una stalla vuota non servirebbe più a nulla. I top players, soprattutto in campo maschile, sono interessati solo al singolare e il doppio lo giocano, talvolta e se ne hanno voglia, solo in Coppa Davis (naturalmente vincendo il più delle volte). In questa maniera si aprono possibilità insperate per gli altri: è stato bello che down under se ne siano giovati in pieno anche due tennisti italiani.
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