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Australian Open: Murray, Nadal e quelle diverse "strategie" di comunicazione…

TENNIS – AUSTRALIAN OPEN – DAL NOSTRO INVIATO LUIGI ANSALONI – Il tweet di Andy Murray non punge solo Rafa Nadal, ma l’intero sistema di comunicazione: i media, i giornalisti che abusano della cosiddetta epicità delle imprese, l’ostentazione da parte del clan Nadal di ogni malanno del maiorchino. Un tipo di comunicazione che è riuscito a imporsi.

Sarà che quella appena trascorsa qui a Melbourne non è stata esattamente la giornata più epica della storia dello Slam, ma del tweet di Andy Murray tra i meandri della sala stampa se n’è parlato, eccome. Ci si era appena svegliati da queste parti e aprendo Twitter ci si accorge che allo scozzese il modo in cui è stata accolta la vittoria di Nadal sullo statunitense Smyczek proprio non era andata giù. “Quando l’anno scorso agli US Open ho vinto con i crampi ero un fenomeno di recitazione, fuori forma, bisognoso di uno psichiatra, impostore…”, ha cinguettato il caro Andy. Troppo chiaro il riferimento allo spagnolo, che dopo medical time out, vitamine, antibiotici, vomito e chi più ne ha più ne metta era riuscito comunque a qualificarsi e battere l’avversario. Ora, probabilmente Murray non voleva mandare un messaggio sarcastico solo al maiorchino, ma a tutto il sistema di comunicazione che ruota intorno al tennis. Premessa: non esiste un giornalismo esente da tifo. Vuoi per nazionalità, vuoi per simpatia o antipatia o solo per il puro piacere estetico del gioco, più o meno tutti hanno la loro preferenza personale.

Ovvio, poi, che il senso di appartenenza nazionalistico, dunque il campanilismo, è senza alcun dubbio un potentissimo vettore su cui si basano giudizi che di oggettivo non hanno proprio nulla. Detto e chiarito questo, Murray probabilmente voleva semplicemente mettere l’accento su come ogni vittoria dopo un malanno (vero o presunto) di Nadal sia vista come una sorta di impresa epica e omerica da tramandare per generazioni e generazioni. Questo è frutto di un tipo di comunicazione (giusto o sbagliato, non lo so) che ha costruito il clan di Nadal.

Di nessun sportivo (non tennista, sportivo) al mondo si conosce praticamente in tempo reale lo stato di salute e i malanni. Ogni fastidio che prova Nadal, lo zio Toni e il suo entourage lo fanno sapere a tutti, quasi in maniera ossessiva. Non c’è un torneo dove Nadal stia veramente bene, al 100%, senza il minimo fastidio. Vuoi il ginocchio, vuoi la schiena, il polso, l’appendice. Fatto sta che, presi da un bombardamento mediatico di tali proporzioni, i tifosi alla fine ci credono pure. Non tutti, ovvio. Ci sono anche quelli che non credono ad una parola di quanto detto dal clan spagnolo, altri addirittura pensano che Rafa in fondo, tranne qualche leggero e naturale fastidio dovuto all’attività sportiva, non abbia mai avuto veramente niente. Idem i giornalisti, che dovrebbero essere non solo più oggettivi, ma anche capirne qualcosa in più.

Tornando alla sala stampa di Melbourne, molti hanno applaudito il coraggio e la lucidità di Nadal a combattere comunque in quelle condizioni, sottolineato da articoli entusiasti, altri hanno dato la colpa all’avversario di non aver saputo approfittare della condizione fisica dello spagnolo. Murray è anche piccato, e non da ora, dalle accuse di essersi “seduto” dopo i trionfi di Wimbledon e dello Us Open, e che la lenta ripresa dall’infortunio alla schiena sia stata paragonata a quella miracolosa di Nadal, che dopo essere stato 6 mesi fermo nel 2013 è rientrato vincendo qualsiasi cosa e tornando numero uno del mondo. Il recupero di Andy non è stato una sorta di “Grande Fratello” come è successo per Nadal, e forse questo ha un po’ rafforzato le tesi dei suoi detrattori. Anche Djokovic prima di diventare RoboNole era accusato di essere un piagnone, con ritiri dovuti a qualsiasi cosa. Diverse strategie di comunicazione che, discutibili quanto si voglia, hanno dato dei risultati.

Luigi Ansaloni

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