MELBOURNE-TENNIS. Dal nostro inviato, Luigi Ansaloni
Tre bambini australiani son seduti poco sotto la tribuna stampa con loro cappellino dai colori spagnolo, a dispetto della loro chiara, chiarissima nazionalità aussie. Scuotono la testa, hanno il broncio tenero come solo i bimbi possono avere. Nessuno di loro avrà più di 12 anni. Guardano la mamma, chiaramente imbarazzate e chiaramente dispiaciuta con la faccia da “ma che cavolo sta succedendo?”.
Poco più sopra la stessa domanda se la stanno chiedendo bambini non più bambini che solitamente di mestiere fanno questo, cioè capire cosa diavolo stia succedendo su un campo da gioco. La risposta l’ha data uno dei due giocatori nella prima domanda della conferenza stampa: “L’altro ha giocato meglio di me”.
L’altro in questione è Tomas Berdych, e quello che sta parlando ai giornalisti più o meno sbigottiti è Rafael Nadal. E cosa vuoi che ti risponda, lo spagnolo? Non puo’ fare altrimenti. Ha già usato tutte le scuse possibili e immaginabili, ha detto che non sta bene da mesi, aveva chiaramente detto che non era il favorito e che era lontano dalla condizione, ma pochi gli hanno creduto. Ora magari qualcuno gli crederà un po’ di più. Berdych per una volta ha fatto quello che non tanto il suo ranking (da anni ormai è stabilmente tra i primi 10 e va alle Finals da sette anni consecutivi) ma quello che il suo talento gli chiede, gli ha chiesto per tutta la sua carriera: vincere. Smetterla di essere un normale giocatore, un formidabile normale giocatore, per essere una macchina da tennis, cosa che è stata a tratti. Certo, ha otteuto risultati importantissimi, in vita sua: ha battuto Federer a Wimbledon e a New York, Djokovic a Wimbledon, tra i campi londinesi ha pure fatto una finale (persa) nel 2010. Persa contro chi? Contro Nadal. Con cui non vinceva da 17 (di-cia-se-tte) partite. L’ultima volta era stato una vita fa, nel 2006, a Madrid, la partita del “zitti tutti” al pubblico di Madrid. Erano giovanissimi: Nadal 20 anni, Berdych 21. Erano due delle quattro grandi speranze del tennis mondiale di quel tempo: loro, Djokovic e Murray. Tutti hanno (stra) mantenuto le promesse, lui pur facendo una signora carriera, un po’ meno degli altri. E pensare che tutti dicevano che in fondo in fondo il piu’ forte in potenza era lui, Tomas dalla Repubblica Ceca.
La Rod Laver Arena gli ha mandato delle maledizioni non da poco, mascherate da applausi, si capisce. “Che bravo che sei, Tomas il ceco, che bei rovesci tiri! Che belle tranvate di dritto spari, li anima de li mortacci tua!”, pensavano i poveri aussie, che sognavano una semifinale tra Nadal e Federer, e una volta che Federer non c’è più ancora meglio, visto che, diamine!, gioca Kyrgios contro Murray, e sai che sfida eventuale con Rafa!. Negli slam, bene o male, il pubblico tifa il nome, gli underdog, gli sfavoriti, non sono esattamente ben visti. Tranne a Parigi.
Ecco, lì si. Lì vogliono libertè, egalitè, fraternitè. Vogliono gente nuova, facce nuove. Proprio per questo, forse, quando Soderling nel 2009 ruppe (solo lui ci è mai riuscito), l’egemonia di tiranno Nadal, sul Philipp Chatrier non la presero esattamente male. Berdych oggi sembrava un po’ quel Soderling, nei colpi: non ha sbagliato nulla, o ha sbagliato poco, molto poco, ed è stato implacabile. E’ stato più lucido del solito: aveva sprecato due match point nel terzo set, nel tie break stava dominando ma poi si è lasciato riprendere, prima di tirare una risposta di dritto clamorosa sul 5-5 e servizio Nadal e poi chiudere, finalmente chiudere.
Nadal non era il miglior Nadal, e questo è chiaro: un Rafa appena normale non si farebbe nè ora nè mai sfuggire 9 (NOVE) game di fila tra il 4-2 primo set e 1-1 nel terzo. Un Rafa normale probabilmente avrebbe vinto. Evidentemente non era giornata, evidentemente non era torneo. Il 2015 per lui e per l’altro grande tiranno dei tempi passati, Federer, non inizia esattamente nel migliore dei modi.
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