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"Best of 2014" / Tennis e psicodrammi: i match più rocamboleschi del circuito WTA

TENNIS – Di Diego Barbiani

Di match cosiddetti “thriller” o veri e propri “psicodrammi” la WTA, come utilizzato in senso iperbolico dagli appassionati, è piena. Partite che sembrano ormai chiuse vengono ribaltate come un calzino.

Continui avvicendamenti ed episodi chiave, tutti piccoli mattoni che uno sopra l’altro costruiscono copioni da cinema e danno vita a trame dove saltano schemi e si perdono i fili della logica. A quel punto è difficile parlare solo di tennis, perché il gioco in campo è influenzato da tanti diversi fattori: chiamate dubbie, confusioni, discussioni con arbitro o giudice di linea. Gli ingredienti sono vari e multiformi, ma servono poi i protagonisti. Non che tra i maschi si trovi una tenuta mentale a prova di apocalisse, ma basta dare uno sguardo nell’altro circuito tennistico per perdersi in una marea di situazioni imprevedibili e – per certi aspetti – appassionanti. Dopo questa introduzione, ecco i match più rocamboleschi della stagione Wta appena conclusa.

Radwanska b. Jankovic 7-5 2-6 6-4, Indian Wells

A voler guardare i precedenti tra le due, era piuttosto prevedibile che al termine dell’incontro la polacca potesse uscirne vittoriosa. Oltretutto dopo che il suo gioco era tornato a dare grande fastidio ad una serba che, vinto per 6-2 il secondo parziale, sembrava aver intrapreso la giusta via. Tempo un quarto d’ora e l’ex n.2 del mondo è salita sul 4-0. Tempo un quarto d’ora e si è trovata al servizio per salvare un’occasione del possibile 5-4 e servizio Jankovic.

Radwanska aveva perso efficacia, indietreggiando nella sua azione e lasciando che Jankovic ritrovasse colpo dopo colpo un po’ di fiducia. Aveva sciupato tanto, soprattutto nel primo parziale, ma un paio di rovesci ben assestati devono averla scossa più del dovuto. In un game, il nono, in cui già sul 15-15 aveva comunque messo in rete uno smash non semplicissimo lasciandosi andare al suolo, la serba ha buttato la palla del 5-4 con un dritto banale che è morto nella parte bassa della rete.

A questo punto è stata lei a tornare nel pallone, sbagliando qualche secondo dopo un nuovo colpo piuttosto simile questa volta però prendendo il corridoio laterale. E’ andata a sedersi con sguardo arrabbiato e nonostante l’incitamento del fratello, in tribuna, ha commesso un doppio fallo cruciale sulla seconda occasione per il 5-5 ed ha sparato lungo l’ultimo rovescio della sua partita.

Cornet b. Petkovic 7-6(6) 5-7 6-3, Parigi indoor

Statene certi: quando in campo c’è Alizé Cornet, reggetevi forte perché può accadere di tutto. La francese è in cima alla lista dei desideri di chiunque voglia perdersi nei meandri di un match dai mille capovolgimenti. Giudicata spesso antipatica, irrispettosa dell’avversario per i suoi modi di incoraggiarsi (fino a che punto, visto che ormai chiunque in campo usa esultare anche sull’errore avversario?), accusata talvolta di scendere in campo con vestitini troppo succinti, protagonista di teatrini… La francese è una che a venticinque anni può vantare diversi appellativi, ma molti dimenticano che a tennis è una che chiunque vorrebbe evitare. Non ci credete? Chiedete allora a Serena Williams.

Quel giorno c’erano i quarti di finale e, dopo aver vinto un primo set in maniera alquanto rocambolesca (Petkovic ha servito sul 5-4 ed era avanti 6-4 nel tie-break) la francese è andata a servire sul 5-4 nel secondo set. Avanti 40-15 ha sciupato i primi due match point e sul terzo, convinta di aver chiuso con un ace, ha esultato lasciandosi andare per terra. La voce del giudice di sedia l’ha fatta rianimare in mezzo secondo e nessuna vibrante protesta l’ha aiutata. E’ arrivato così il doppio fallo ed il successivo contro-break, materializzatosi anche pochi minuti dopo.

Il terzo set è stato ricco di scambi tremendi, interminabili e con due giocatrici già molto provate da una battaglia che durava da due ore e mezza. L’ennesimo punto di svolta è avvenuto sul 3-1 Petkovic quando non è riuscita a confermare il break ed a sprofondare sotto 3-4 (e servizio Cornet). Sul 40-40 un suo rovescio pare abbia toccato la riga, non per il giudice di linea. La tedesca perde le staffe e si lamenta per un paio di minuti in maniera energica con l’arbitro, sbatte le mani sul campo, ma non c’è stato nulla da fare. Dopo tre ore e spiccioli di gioco, è la francese ad alzare le mani al cielo.

Sharapova b. Safarova 7-6(5) 6-7(5) 7-6(2), Stoccarda

L’esordio di Maria Sharapova sulla terra rossa è stato qualcosa di impagabile. Gli spettatori che hanno assiepato le tribune dell’arena di Stoccarda, a fine match, potranno essersi guardati intorno soddisfatti ma alla ricerca di qualche punto di riferimento che li riportasse nel mondo di tutti i giorni.

Il match tra la russa e Safarova ha trasportato tutti in un ottovolante di emozioni e nessuna delle due, alla fine, sembrava in grado di fare lo scatto decisivo per andare a prendere la vittoria, creando momenti in cui veniva difficile spiegare cosa effettivamente stesse capitando.

L’attenzione della russa aveva fatto la differenza nel primo parziale, quando nei momenti decisivi aveva piazzato una serie di punti utile a levarla dalle sabbie mobili del tie-break. Nel secondo, però, è stata altrettanto brava la ceca a mantenersi avanti durante nelle fasi cruciali dei game ed a riprendere un ritardo di 3-0 nel tie-break per rinviare tutto al set decisivo.

Sharapova, piuttosto seccata, ha ingranato una marcia in più che l’ha portata sul 5-1 ma al servizio per chiudere, prima colpita da una risposta della ceca e poi da un calo di attenzione, ha restituito il primo turno di battuta. 5-2, 5-3, 5-4 annullando il primo match point. Piano piano Safarova stava tornando su, coraggiosa e senza “rubare” nulla. Altri tre match point annullati e si tornava in parità. 5-5 dopo oltre tre ore di gioco. Safarova ormai viaggiava sulle nuvole. Nuovo break in suo favore, 6-5 e 30-0 sul suo servizio.

Attenzione, doppio fallo. La sua furia sportiva si è presa una pausa. Non l’avesse mai fatto. Il braccio ha smesso di girare a meraviglia, i colpi erano più lenti e corti. Altro doppio fallo. 6-6, altro tie-break. A quel punto, però, il morale della n.2 ceca era già ampiamente sotto la terra rossa di Stoccarda e nel giro di breve, ha salutato il pubblico da vincitrice. Da quella partita è cominciata la sua trionfante cavalcata fino al Roland Garros.

Vekic b. Cibulkova 5-7 7-5 7-6(4), Kuala Lumpur

La slovacca è un’altra che in questa categoria potrebbe candidarsi a presidentessa onoraria. E’ molto simile a Cornet sotto diversi aspetti, forse la francese prevale nei giochi di polso ed a rete, ma ogni match con Cibulkova in campo potrebbe nascondere i tratti delle montagne russe.

Quella contro Donna Vekic, in finale a Kuala Lumpur, è stato un match ricco di occasioni sprecate per entrambe. Era ancora la Cibulkova post-Australian Open, appena entrata in top-10 ed in grande ascesa. Contro di lei, Donna Vekic cercava il primo titolo tra i professionisti dopo due finali perse.

Due set tiratissimi, con la n.10 del mondo che riusciva a tenersi in piedi nonostante in quell’umida serata malese la croata lasciava andare fucilate impressionanti con il dritto. Perso il secondo set in volata, nel terzo era precipitata sotto 1-5. Sul 2-5 ha ripreso un game da 40-15 sotto annullando quattro match point. Vekic stava cominciando a dare segni di escandescenza piuttosto ingiustificati visto il margine e la qualità del suo gioco che non accennava a diminuire. Un dritto lungolinea di
Cibulkova ha prolungato la partita ed aperto lo “psicodramma”.

Dal 5-3 al 5-6 c’è voluto un attimo, con la croata incapace di gestire il momento. Alla fine ha comunque portato a casa la vittoria, liberando tutta la sua gioia dopo tantissima sofferenza.

Suarez Navarro b. Kuznetsova 6-4 3-6 6-4, Oeiras

Per Carla Suarez Navarro questa partita ha segnato la fine di un incubo. Dopo cinque finali perse su cinque, la spagnola è riuscita a mettere le mani sul primo titolo Wta della sua carriera. Lei, che ha ricevuto in dono un rovescio ad una mano stilisticamente ineccepibile, ha sempre pagato dazio nel momento di chiudere in conti. Così nelle partite singole (poche settimane dopo mancò la clamorosa occasione di giungere per la prima volta in semifinale in uno Slam quando avanti 4-1 nel terzo fu battuta 8-6 da Eugenie Bouchard) e così quando doveva completare il percorso di una settimana.

Vedendola colpire con quella pulizia, però, è facile pensare subito: “questa un torneo dove vincerlo. Uno, anche solo uno!”. Ebbene, il sogno per la spagnola si è concretizzato a pochi passi da casa, nel vicino Portogallo. Ad Oeiras, quel giorno, affrontava in finale una Kuznetsova che cercava a sua volta di interrompere un digiuno di quattro anni e mezzo.

Ceduto il primo parziale, la russa rimontò con prepotenza nel secondo e trovatasi 4-1 e servizio nel terzo è calata un po’ in concentrazione. Anche qui, errore fatale. Punto dopo punto, errore dopo errore della russa, Suarez Navarro riemergeva dalle sabbie mobili ed avanti 5-4 è stata lei a mettere a segno l’ultimo punto. La maledizione era stata cancellata. Kuznetsova invece ha dovuto attendere ancora fino a Washington, dove fu lei quella volta a recuperare da 1-4 nel terzo la giapponese Kurumi Nara.

Townsend b. Cornet 6-4 4-6 6-4, Roland Garros

La partita che rivelò al mondo intero chi fosse realmente Taylor Townsend. Della giovane statunitense si era fatto un gran parlare più per i suoi problemi di stazza fisica che per le grandi qualità tecniche. Questo vizio deprecabile ha fatto sì che negli anni l’americana fosse soggetta a pesanti critiche o situazioni paradossali, come quando la federazione statunitense rifiutò inizialmente di farla giocare allo US Open junior perché temevano di mettere in pericolo la sua salute.

La vittoria contro Alizé Cornet, per giunta al Roland Garros e con tutto lo stadio a fare un caos tipico di un match tra nazionali, ha mostrato a tutti che Townsend ha una mano con una sensibilità enorme e per di più è una giocatrice da salvaguardare: va spesso a rete, o comunque attacca, attacca ed attacca ancora. Contro la transalpina si è esibita in un tennis spettacolare e come tale ricco di pericoli. Ha avuto per due volte la partita nelle mani, ha rischiato in entrambi i casi di vedersela sfilare. Sarebbe stato per lei un colpo troppo forte.

Cornet era sotto 4-6 1-4 e servizio Townsend prima di infilare cinque giochi consecutivi. Nel terzo è stata sotto 5-1 e 0-40 sul proprio servizio prima di annullare in tutto quattro match point ed arrivare fino al 4-5. Sul 30-30 ha pagato due leggere distrazioni e Taylor ha potuto così festeggiare la più bella vittoria della sua (per ora breve) carriera.

Dopo quella partita la statunitense ricevette i complimenti di Andy Murray. Si spera che nessuno le abbia detto delle difficoltà che patì Caroline Garcia dopo che lo stesso scozzese le predisse un futuro da n.1 del mondo!

Cibulkova b. Van Uytvanck 3-6 6-3 8-6, Wimbledon

Rispetto alla finale di Kuala Lumpur Cibulkova aveva perso costanza e smalto. Il suo gioco all’attacco aveva più pause di altri periodi e non riusciva più a vincere le partite con la facilità di prima. Tre brutti sorteggi tra Madrid e Parigi la misero di fronte per due volte alla bestia-nera Stosur ed a Camila Giorgi in un match complicatissimo (per lei) a Roma. A Wimbledon, dopo un agevole successo al primo turno, si trovò di fronte alla mina vagante belga Alison Van Uytvanck. La ventenne di Vilvoorde, un paesino alle porte di Bruxelles, a livello juior era considerato una possibile campionessa e quel giorno stava giocando un tennis molto efficace tra un servizio micidiale ed un dritto che schizzava via al contatto con l’erba. Solo un’impresa evitò a Cibulkova di capitolare definitivamente nel secondo parziale.

Il terzo ha visto accadere di tutto. Van Uytvanck ha preso un break in apertura di parziale e se l’è portato fino a quando ha servito per approdare al terzo turno. Due match point consecutivi e se nel primo la slovacca ha colpito con un dritto in lungolinea, sul secondo il braccio ha tremato ed un comodo dritto è volato molto lontano dalla linea di fondo. Sul 40-40, Van Uytvanck si è presa un po’ troppo tempo alla battuta e Mariana Alves, la giudice di sedia, le ha comminato il secondo warning per “time violation”. Non voleva crederci, ha accennato ad una protesta quando dal suo angolo le hanno detto di continuare a giocare. Costretta a servire la seconda, però, è arrivato il doppio fallo che era solo il preludio al break ceduto che ha rimesso totalmente in gioco una Cibulkova quasi miracolata. Al cambio campo era una furia, ha lanciato la racchetta contro la propria panchina urlando in continuazione “what the f**k did I do?!” alla giudice di sedia, che cercando di tranquillizzarla le ripeteva di aver superato più volte i 30 secondi (su 20 che sono concessi). Nel frattempo il suo angolo rincarava la dose con ulteriori epiteti difficilmente ripetibili, accompagnati da qualche “disgusting behaviour” proveniente dalla bocca del suo allenatore, il più calmo (circa) di tutto il clan.

Da quel momento è cominciato un altro sport. Ogni volta che la belga faceva un punto, o la slovacca sbagliava, c’erano urla dall’angolo della Van Uytvanck. Il ragazzo di Cibulkova, viste la difficile situazione della n.10 del mondo, ha cominciato a sua volta a dar fastidio all’avversaria con dei versi nel momento in cui colpiva la palla. Sul 6-6 è arrivato il break per la giocatrice di Bratislava, che chiamata a chiudere l’incontro non ha fallito, esplodendo la tensione accumulata in un urlo che l’ha portata poi con pochissima voce in sala stampa.

Kerber b. Lepchenko 4-6 7-6(3) 6-3, Stanford

Varvara Lepchenko è da sempre una giocatrice pericolosa. Almeno, ha nelle corde un tennis da top-20 e quando lascia andare i colpi diventa difficile da battere per tante colleghe. A Stanford, contro Angelique Kerber, è stata ad un passo dalla prima finale in carriera (poi raggiunta a Seoul) con un set e mezzo da urlo.

Chi l’ha vista in azione in Fed Cup a Rimini ha ammirato una giocatrice che attacca quasi sempre, con un’ottima mano a rete e la capacità di trovare il vincente con grande frequenza. Quella sera la tedesca era in bambola e senza poter opporre grande resistenza si è trovata sotto per 6-4 5-3. Il pubblico già pregustava una finale tutta statunitense tra lei e Serena Williams, probabilmente qualcosa sarà passato per la testa anche di Lepchenko che, avanti 30-0 nel game cruciale, prima ha perso progressivamente campo e poi, dal 30-30, ha commesso due doppi falli di pura tensione. Il secondo, tremendo, con la pallina che è morta a metà rete.

Era entrata nel vortice e combatteva contro le sue paure, ma ha comunque avuto la grande chance: 30-40, match point. Il pubblico l’ha caricata con un applausi ed urla di incitamento, ma su una seconda che viaggiava a 64 miglia orarie (103km/h) si è ancorata con i piedi al terreno e non ha trovato il tempo per spostarsi, colpendo come poteva una pallina che si è spenta ancora una volta in rete.

Il dritto non impossibile spedito ancora sotto il nast
ro con cui ha consegnato la parità alla tedesca è stato il gancio che le ha spezzato le gambe. A quel punto le serviva un miracolo per ritrovare concentrazione ed armi in tempo per il tie-break, ceduto piuttosto malamente, ed un terzo set che l’ha vista subito andare sotto e senza l’occasione concreta per rientrare.

Non male, dal punto di vista “thriller” del match, neppure la finale in cui Kerber si era portata sul 5-1 prima di subire il grande rientro di Serena Williams, che ha concluso vincitrice per 7-5 6-2.

Watson b. Cibulkova 6-2 6-7(4) 7-6(5), Montreal

Su un campo secondario, a Montreal, la britannica Heather Watson stava dominando Dominika Cibulkova che non riusciva a reagire, a fare uno scatto d’orgoglio. In un’ora di gioco era pressoché con un piede nella doccia, indietro 2-6 0-4 30-40.

Ripreso per i capelli quel turno di battuta, è riuscita a strappare il servizio ed a portarsi ad un solo game di distanza. A quel punto era Watson a pensare sulle occasioni mancate, alla possibilità di essere sul 5-0 e guidare in tutta tranquillità la partita dalla sua parte mentre ora doveva sudare tantissimo per evitare ripercussioni psicologiche. Come abbiamo già detto, però, tra le donne è molto difficile avere la psiche come punto di forza ed il parziale si è capovolto come un calzino.

Dal 4-0 Watson al 7-6 Cibulkova, un’impresa, quella della finalista degli Australian Open, che secondo una regola non scritta doveva portare ad un crollo della giocatrice rimontata. Questa partita, però, deve essere stata scritta da un abile regista e la britannica, ripreso un turno di battuta perso in apertura, è tornata in fuga, salendo fino al 5-2. Sul 5-3 si è fatta strappare la battuta alla quarta occasione concessa e sul 5-4 ha mancato due match point e dopo due ore e mezza il punteggio diceva 5-5.

Si perderebbe il conto delle occasioni avute dalla n.1 inglese, a cui però va il merito di non aver mai perso fiducia e volontà. Nonostante i match point mancati, nonostante l’inesauribile grinta della sua avversaria quando questa è stata avanti 3-0 nel tie-break finale.

Mancava però il momento topico. Sul 4-4 con una gran risposta di rovescio Cibulkova si è aperta il campo ma la sua accelerazione successiva si è stampata sotto il nastro.Ne avrà tirati a centinaia nella sua carriera da quella posizione, in quel momento però il braccio non era fluido come avrebbe dovuto. Tensione, elemento che accompagna la vita di tanti. Quel colpo aveva aperto uno squarcio nella sua mente e poco dopo si è trasformato in una sorta di buco nero. Tante energie spese per poi sciogliersi sul rettilineo finale. Due sciocchezze consecutive che le sono costate la possibilità di confezionare la rimonta più incredibile dell’anno, hanno anche prolungato un periodo negativo che la vedrà perdere anche dalla statunitense “Cici” Bellis a New York prima di interrompersi, almeno in parte, con l’arrivo della trasferta asiatica Poteva anche perdere nettamente nel secondo parziale ma alla fine ha perso per due soli punti, siamo sicuri possa essere stata comunque contenta della reazione?

Rogers b. Bouchard 6-0 2-6 6-0, Montreal

Nessun recupero clamoroso, nessun risultato in bilico fino all’ultimo game. La sfida tra Eugenie Bouchard e Shelby Rogers verrà ricordata come la netta ed inappellabile vittoria della statunitense nel silenzio tombale di uno stadio gremito in ogni ordine di posto e nel black out che aveva disattivato il microfono dell’arbitro ed il sistema di “hawkeye”. 

La beniamina di casa Bouchard, nativa proprio di Montreal, aveva conquistato un mese prima la finale a Wimbledon ed una folla immensa si era accalcata sulle tribune del campo centrale per renderle omaggio con una standing ovation simile ad un guerriero che torna trionfatore da una battaglia. Già pochi passi prima di entrare nello stadio la canadese era sommersa dalla folla che da un lato all’altro faceva sentire la propria voce per incoraggiarla. Lei era paralizzata, non ha neanche avuto il coraggio di alzare la testa appena entrata in campo.

Sotto 5-0 nel primo set ha chiesto l’intervento del proprio coach e prima ancora che lui aprisse bocca ha detto: “Non riesco a giocare, non ce la faccio. Voglio andarmene!”. Per la prima volta, l’aura glaciale che la circondava mostrava crepe importanti. Saviano ha provato a tranquillizzarla ripetendole con tono deciso: “Prendi il tuo tempo. Respira e poi torna a giocare”. Tutto inutile. Perso il primo set 6-0, lo stesso coach dal suo angolo, a microfono ancora attivo, disse: “Non sta facendo nulla, venti minuti e ce ne andiamo”. 

Non furono così pochi, ma la reazione che l’ha portata a vincere il secondo parziale è svanita ad inizio del terzo set. Punto dopo punto, Rogers minava nuovamente le certezze della canadese e spegneva l’entusiasmo di un pubblico fin troppo di parte. Tutti si attendevano una vittoria della nuova top-10, la statunitense ha zittito tutti ed in un clima surreale ha festeggiato l’incredibile finale. Montreal, per la canadese, rischia di rimanere una tappa molto delicata.

Petkovic b. Puig 3-6 6-3 7-6(5), US Open

Monica Puig è compresa in quel gruppetto di giocatrici da cui tanti, tra gli addetti ai lavori, prospettano un futuro da protagoniste ai piani alti. La portoricana è giovane, classe 1993, ed al primo vero anno nel circuito WTA ha già ottenuto il primo titolo (Strasburgo, battendo tra le altre proprio Andrea Petkovic ai quarti di finale). In effetti le qualità ci sono, i colpi da fondo-campo viaggiano da far impressione e stupisce anche la sua ostinazione nonostante i rischi siano altissimi ogni volta che colpisce. Non ha però ancora un piano B che le trasmetta necessaria sicurezza ed a livello psicologico deve lavorare per progredire ulteriormente.

Quel giorno sfidava Petkovic per un posto al terzo turno e dopo due set equilibrati aveva preso un margine apparentemente sicuro portandosi sul 4-1 e servizio e 40-0. La WTA però non è terra di certezze o anche semplici previsioni, la WTA va seguita (ammirata, meglio ancora) con la libertà di pensiero di chi sa di dover attendersi l’impossibile in ogni occasione.

Fu un game estenuante. Puig ebbe una decina di opportunità di portare a casa il punto, commise almeno altrettante follie tra doppi falli dovuti ad un blocco psicologico e tentativi di conclusione troppo frettolosi. la tedesca, che ha anche trovato il tempo per protestare vivacemente con una giudice di linea per una chiamata difficile su un colpo in chiusura dell’avversaria, sbattendo la racchetta a terra ed inginocchiandosi a marcare ancora più da vicino un segno, alla quarta palla break è riuscita ad accorciare le distanze. Un parziale seguente di 12-0 l’ha proiettata poi avanti 5-4. L’epilogo si è avuto nel tie-break decisivo, dove prima la tedesca andò sul 3-0, poi la portoricana si spinse fino al 5-3 ma lì crollo, questa volta definitivamente.

Sharapova b. Radwanska 7-5 6-7(5) 6-2, Singapore

L’ultima vittoria dell’anno di Maria Sharapova è stata anche la più crudele. A nulla è servito battere in tre set Agnieszka Radwanska, alla polacca bastava portare a casa un parziale per eliminare la rivale dalla corsa alla semifinale del gruppo B del Master di Singapore, livello che ha poi raggiunto grazie alla sconfitta in due parziali di Petra Kvitova ad opera di Caroline Wozniacki.

Fu un piccolo-grande incubo sportivo quello della russa, che dopo essersi aggiudicata il primo set era salita fino al 5-1 nel secondo e voleva a tutti i costi riabilitarsi al 100% dopo le due brutte sconfitte nei primi match. Con coraggio, però, la polacca ha co
struito una rimonta straordinaria, annullando quattro match point e raggiungendo un tie-break insperato.

Qui il tocco finale per la russa: il doppio fallo. Il colpo che più di tutti ha condizionato la sua carriera dopo il rientro per il grave infortunio alla spalla, impedendole di espandere una bacheca già abbastanza abbondante di successi, l’ha tradita nuovamente. Questa volta però sul set point Radwanska, a cui forse non sembrava vero di essere ancora viva dopo aver immaginato una fine rapida del suo torneo e della sua stagione.

La sconfitta al terzo set, come detto, non sarà che un dettaglio ed appreso poi della sconfitta di Kvitova, avrà pagato ben volentieri la promessa fatta a Wozniacki: shopping sfrenato con la sua carta di credito.

 

Diego Barbiani

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