TENNIS – Di Diego Barbiani
Se il 2014 tra gli uomini è stato caratterizzato da diverse sorprese, nel circuito femminile c’è stata forse ancora più incertezza.
Guardando la classifica, Serena Williams era n.1 ad inizio anno e lì si trova tutt’ora, senza che nessuna possa concretamente averla messa in difficoltà, ma tutt’intorno sono successe tantissime cose, dal crollo verticale di Azarenka all’ascesa di giocatrici giovani (Bouchard ed Halep) e con qualche anno in più di esperienza (Cibulkova e Makarova su tutte, entrate entrambe per la prima volta tra le prime dieci) e di alcuni graditi ritorni (Ivanovic e Wozniacki).
Per quello che riguarda le emozioni in campo, quelle non sono quasi mai mancate. Riavvolgiamo dunque il nastro e cerchiamo di rintracciare le sfide più belle ed appassionanti della stagione.
Ivanovic b. Serena Williams 4-6 6-3 6-3, Australian Open
Tutto, probabilmente, è cominciato lì. Ottavi di finale dell’Australian Open. Il primo grande botto del tabellone è dato da Serena che perde per la prima volta in carriera contro Ana Ivanovic. La serba, alla vigilia del primo Slam stagionale, era data in grande spolvero con la vittoria al torneo di Auckland che aveva spezzato un lungo digiuno. In panchina nel suo angolo c’era Nemanja Kontic, l’artefice del suo grande rientro nella prima metà dell’anno.
L’ex n.1 del mondo non aveva mai vinto un solo set contro l’americana e non arrivava ai quarti di finale di uno Slam dagli US Open 2012 (perse proprio contro Serena) ma quel giorno il suo dritto sembrava l’arma impropria che la portò sul gradino più alto del ranking. L’americana non era in perfette condizioni fisiche, dirà poi in conferenza stampa di essere stata vittima di un dolore alla schiena, ma i meriti di Ivanovic sono enormi perché negli ultimi anni aveva fatto notizia specialmente per occasioni mancate o partite perse quando la vittoria era ormai una formalità.
Quel giorno, invece, Ana seppe giocare due ore di livello altissimo e colpire ogni volta che aveva l’occasione ed anche se dovette poi cedere ad un problema fisico nei quarti, questa vittoria pose le fondamenta per una stagione da incorniciare e che ha mostrato al mondo una Ivanovic matura, senza più i fantasmi e le insicurezze che la attanagliavano.
Cibulkova b. Venus Williams 6-1 5-7 6-3, Miami
La vittoria più importante per Dominika Cibulkova dopo l’Australian Open che l’ha vista arrivare fino in finale. Erano in corso gli ottavi di finale a Miami ed alla slovacca, che in quel periodo dell’anno stava battendo avversarie pesanti una dopo l’altra (Cornet, Kvitova, Sharapova, Radwanska, Halep giusto per dirne alcune) era arrivata a sole due partite dall’approdo nelle prime dieci del mondo. L’uscita anticipata di Sara Errani le aveva concesso l’occasione di avere il destino nelle sue mani e per farlo doveva superare prima Alizé Cornet, poi Venus Williams ed infine Agnieszka Radwanska.
Quella contro la statunitense fu una partita di livello altissimo, farcita di vincenti dai primissimi punti e Cibulkova che attaccava ogni pallina per evitare di essere travolta a sua volta dalla potenza dell’avversaria. Dopo un primo set perfetto, ha subito il tentativo di Venus di rientrare e ceduto il parziale con un break sul 5-5, forse, in altre situazioni avrebbe subito un contraccolpo evidentee. In quel momento però era una Cibulkova che viaggiava stabilmente al n.2 del mondo nella Race e senza farsi condizionare dalla caratura della ex n.1 del mondo è tornata a far gioco e punti fino al 4-1 e servizio. La beniamina di casa ha tentato un ultimo disperato assalto che si è arrestato sul 3-4* 15-40, da lì in avanti è stato un assolo a tinte slovacche con un punto, in particolare, da evidenziare: pallonetto di dritto, in scivolata, sul 5-3* 30-30 che ha scavalcato Venus ed è atterrato nell’ultimo centimetro di campo.
Verrà poi anche la vittoria su Radwanska, al termine di una partita resa difficile dal forte vento che ha disturbato le giocatrici per gran parte del tempo. La polacca fu avanti 6-3 5-4 ed ebbe tre match point, di cui il primo fuori per questione di nulla e nel tie-break era 5-2 e servizio, ma Cibulkova ha saputo girare la partita a suo favore con coraggio ed a raggiungere, dopo anni di tentativi, l’élite del tennis mondiale.
Radwanska b. Kuznetsova 6-3 4-6 7-6(6), Madrid
Dopo sei anni, Agnieszka Radwanska è riuscita ad interrompere la “maledizione-Kuznetsova”. L’occasione è capitata a Madrid, al secondo turno. Una partita tra due giocatrici dalla mano fatata che si sono date battaglia per due ore e mezza senza esclusioni di colpi ed una faccia, quella della tennista di Cracovia, che a fine partite la diceva lunga su come si è sviluppato l’incontro. Ha vinto lei grazie ad un improvviso black-out della russa che avanti 6-3 al tie-break ha buttato la partita colpendo per tre volte la parte inferiore del nastro. Una partita che era riuscita a capovolgere grazie al rovescio lungolinea, colpo con il quale era riuscita a mandare in crisi Radwanska ed a costruirsi un margine niente male di otto giochi a due dal 3-2 e servizio per la polacca al 4-1 per l’ex n.2 del mondo.
La sua avversaria però non è mai stata sul punto di alzare bandiera bianca e durante tutto l’arco dell’incontro riusciva sempre a trovare il modo per far male. Prima di rovescio, con le risposte alle seconde di servizio di Kuznetsova, poi di dritto come nel colpo che l’ha portata al set point nel primo parziale. Non sarà stata una stagione eccellente, ma la classe e la bellezza di un gioco così diverso dal solito rimangono inalterati.
Sharapova b. Ivanovic 3-6 7-5 6-1, Stoccarda
E’ una caratteristica, quella della russa, di partire un po’ con il freno a mano tirato e reagire poi di rabbia nella seconda frazione. C’è un momento, nell’arco dell’incontro, dove sai che essere avanti 6-3 3-1 30-0 può farti sentire vicino alla vittoria ma che dovrai difenderti con le unghie dalla rabbia e dall’aggressività di Sharapova. Anche nelle giornate più complicate, la bravura della russa è quella di dare tutto ad ogni punto e questo, oltre alla grande e costante pressione che mantiene sull’avversaria di turno, l’ha aiutata in tantissime occasioni a girare partite ormai perse.
La finale di Stoccarda è uno dei tanti esempi stagionali. Ana Ivanovic stava giocando divinamente e nel primo set aveva una facilità a trovare vincenti che hanno mandato in crisi la futura vincitrice del titolo che a stento alzava lo sguardo ogni volta che doveva cambiare campo. Non lo poteva accettare, non con un carattere forte ed autorevole come il suo. Così, sotto 5-0 40-30, ha giocato il primo vero rovescio della sua partita. Una fucilata da cui poi è nato il controbreak e che ha aiutato a scuoterla. La seconda scarica di pugni è arrivata proprio sul 3-1 Ivanovic nel secondo con vincenti continui che l’hanno riportata a galla, ma il vero colpo di genio fu sulla palla del possibile 4-2 Ivanovic con un rovescio quasi impossibile in lungolinea da due metri fuori dal campo.
Nel giro di breve è arrivato il definitivo corto circuito della serba, che nel terzo set si è spenta ed ha lasciato che Sharapova mettesse le mani sul suo primo titolo dell’anno sulla terra rossa.
Ivanovic b. Sharapova 6-2 5-7 7-5, Cincinnati
Dopo che a Roma Ana era riuscita a prendersi la sua rivincita, le due si ritrovano l’una contro l’altra nell
a semifinale di Cincinnati. Più che una partita di tennis, a metà del secondo set assume i contorni di un romanzo, o di un copione di un film da Oscar con la famosa richiesta di Ivanovic di interrompere il gioco per misurare la pressione del sangue.
In quella partita ci fu di tutto, e forse anche di più. A cominciare dalle protagoniste: belle, forti, capaci di battersi in una rivalità che trascende anche dal semplice tennis giocato e si sposta sul piano dialettale, con battute e frecciatine al vetriolo lanciate ogni volta ci sia la possibilità.
Dal 6-2 4-0 Ivanovic la partita è girata e si è trasformata. A mettere ancora più pepe c’è voluta una decisione arbitrale che ha mandato su tutte le furie la serba, perché aveva appena annullato una chance di controbreak quando il giudice di sedia (sbagliando) disse di ripetere il punto. La russa vinse lo scambio successivo e cominciò ad ingranare.
Come a Stoccarda, si andò al set decisivo. Sull’1-0 Ivanovic, dopo un dritto vincente di Sharapova, la serba ha difficoltà a reggersi in piedi ed avvicinatasi alla panchina chiede di misurare la pressione sanguigna. Passò del tempo, Maria la fissava con sguardo non troppo convinto ed alla ripresa del gioco, per nulla trattenuta, premeva con ancora più veemenza e sottolineava ogni punto con urla non troppo signorili. Ma il galateo, in questi casi, poteva tranquillamente essere messo da parte.
Andò per due volte avanti di un break e quando perse anche il secondo urlò all’arbitro “check her blood-pressure!”.
Negli ultimi game giocarono scambi rocamboleschi ed alla fine, dopo il rovescio che ha dato la vittoria alla Ivanovic, Sharapova durante la stretta di mano la fissò dall’alto in basso con uno sguardo di chi non aveva proprio digerito tutto quanto.
Azarenka b. Krunic 4-6 6-4 6-4, US Open
In una stagione opaca, per la bielorussa, c’è stato anche il concreto rischio di essere estromessa agli US Open da una semisconosciuta giocatrice serba, di cui il nome negli anni passati ha spesso girato tra gli addetti ai lavori come una possibile novità ma che sembrava essersi stabilizzata nelle posizioni tra le prime 150 e 200 del mondo. Aleksandra Krunic non era mai riuscita a fare meglio di un quarto di finale a Baku qualche anno fa, nonostante abbia nelle corde un tennis molto bello da vedere. Per lei però, il destino ha riservato un palcoscenico elettrizzante per rivelarsi agli appassionati meno informati: lo US Open.
Da qualificata ha superato Piter, Keys e Kvitova raggiungendo gli ottavi. Quella sera, a New York, ha diviso il campo contro la finalista delle due precedenti edizioni e dopo un inizio difficile dove ha patito l’emozione, la serba ha illuminato il pubblico e trascinato dalla sua parte. Il suo gioco vario, un potenziale enorme ed un’avversaria un po’ monocorde avevano completato l’osmosi. Ad un certo punto sembravano una cosa unica: soffrivano insieme, esultavano insieme, l’uno trascinava l’altro mattone su mattone verso quella che sarebbe stata una nuova straordinaria impresa.
Vinto il primo parziale, è stata in gara per tutto il secondo set e nel terzo ha ripreso un iniziale break di vantaggio. La fatica cresceva e le sue palle corte non erano più efficaci, ma continuava a cercare soluzioni tattiche nuove per rientrare una seconda volta nel parziale. Nell’ultimo game, con Azarenka al servizio, su una palla break la bielorussa ha preso il nastro e sull’attacco in back profondo di Krunic il rovescio ha pizzicato gli ultimi centimetri di riga.
La sua favola si concluse in quel momento, ma l’ovazione di tutto il pubblico dell’Artur Ashe testimoniano la bontà della sua prova. Se riuscirà nell’anno nuovo a ripetersi su livelli buoni potrebbe anche rappresentare una cliente scomoda per tante giocatrici.
Sharapova b. Bouchard 4-6 7-5 6-2, Roland Garros
Anni fa le due fecero una foto in un’accademia statunitense. Eugenie Bouchard avrà avuto poco meno di dieci anni, Sharapova una quindicina. Ripresa quella foto, cominciarono a sprecarsi i paragoni tra le due, non solo per quello che riguarda un possibile passaggio di consegne sul piano del gioco. In effetti le due sono molto simili, anche e soprattutto nell’atteggiamento: due primedonne, che come tali non accettano la presenza dell’altra.
E’ cambiato tanto nel corso degli anni ed ora che la canadese fiuta la possibilità di prendere il posto della russa, Sharapova non può accettare una presenza così invadente accanto a lei. Ha un ruolo da difendere da una ragazzina di vent’anni che è spinta da tutti per diventare la futura dominatrice della Wta e – chissà – per ricevere contratti multimilionari dagli sponsor.
Scordatevi dunque i sorrisini di quella foto, e neppure dell’altra che fecero qualche anno più tardi, perché da quella semifinale a Parigi si è rotto anche l’ultimo collegamento tra di loro. Bouchard stava giocando un tennis eccezionale, aggressivo e privo di timori. Sharapova, come in tutto il torneo, dopo una partenza in sofferenza riusciva a riemergere ed a capovolgere l’incontro.
Per tutte le due ore e mezza complessive, Bouchard ha giocato da applausi ribattendo tutto quanto poteva. L’ultimo rovescio di Sharapova, però, è scivolato via dopo aver pizzicato la riga e la russa si è lasciata andare in un’esultanza che non deve essere piaciuta troppo alla rivale.
Giunte a rete per la stretta di mano, nessuna delle due ha guardato l’altra in faccia, Sharapova nascondendo lo sguardo sotto la visiera e Bouchard con la bocca serrata e lo sguardo nel vuoto. Quel giorno è definitivamente sbocciata una nuova rivalità.
Petkovic b. Bouchard 1-6 6-3 7-5, Charleston
In tema di strette di mano Eugenie Bouchard non è molto ferrata. Due mesi prima della sfida contro Maria Sharapova a Parigi si è resa protagonista di due episodi simili prima con Andrea Petkovic e poi nella presentazione della sfida di Fed Cup contro la slovacchia quando non rispettò il rituale della stretta di mano all’avversaria Kucova in sede di sorteggio e presentazione delle sfide.
Il giorno in cui perse dalla tedesca, però, era visibilmente infastidita dal modo in cui si fece sfuggire la prima finale WTA in carriera. Stava giocando alla grande, respingendo le accelerazioni avversarie, ribaltando gli scambi e mettendo in ogni punto la sua spiccata personalità. Sul 3-2 nel secondo set ha avuto le prime occasioni per ammazzare definitivamente la partita. Nel terzo è stata avanti 4-3 e servizio ma nonostante questo lo spirito combattente dell’avversaria l’ha sempre tirata su. Non era scontato, perché il passato di Petkovic racconta di una giocatrice che è stata ad un passo dal ritiro dopo un periodo difficilissimo con continui infortuni ed operazioni ed un rientro tra mille difficoltà.
Quello per lei fu il torneo della rinascita e la vittoria seguente contro Cepelova in finale è stata la molla che l’ha portata a disputare una stagione ad ottimi livelli, dove brillano la semifinale raggiunte al Roland Garros e la vittoria al Master di Sofia.
Kvitova b. Venus Williams 5-7 7-6 7-5, Wimbledon span>
A posteriori si può dire che questa è stata la vera finale di Wimbledon. L’incontro più bello forse dell’intera stagione per palcoscenico, protagoniste ed andamento. Una battaglia senza soste nel teatro più suggestivo, il Centre Court.
Era una Kvitova ancora pericolante. In un torneo che aveva già vissuto l’eliminazione di Na Li, la sua nota incostanza la poneva grande favorita della parte bassa ed al tempo stesso pericolante ogni volta che scendeva in campo. Quel giorno, dall’altra parte della rete, c’era una Venus Williams ammirevole che per tutta la durata dell’incontro ha fronteggiato la futura vincitrice del torneo con scambi che ricordavano da molto vicino quella che a Church Road ha vinto ben quattro volte.
Era tutto impostato sull’uno-due, raramente c’erano scambi che superavano i tre colpi. Sono state due ore di battaglia equilibratissima, punto a punto. Sempre.
Kvitova fece una fatica indicibile per venire a capo della sua avversaria, che sul 4-4 del terzo fu avanti 0-30 e forse ha fiutato la possibilità concreta di vincere la partita. Fino a quel momento Venus aveva concesso le briciole in battuta, ma passato quel treno si è scaricata. Forse d’un tratto ha avvertito la stanchezza e le gambe non reagivano più come prima. D’altronde bastava un nulla per spezzare l’equilibrio.
Il tennis è crudele: fosse esistito il pareggio, entrambe avrebbero meritato di passare. Sul 5-5 al terzo si sarebbero dovute trovare a rete per stringersi la mano, farsi tanti complimenti ed augurarsi reciproci “In bocca al lupo” per il proseguo del torneo. Il tennis però non lo prevede, e sul 6-5 Kvitova è arrivato il primo break della sua partita. Decisivo. Letale.
Kvitova b. Kerber 7-5 4-6 6-4, Fed Cup
La sfida più recente, quella che ha sancito il trionfo della Repubblica Ceca in Fed Cup per la terza volta negli ultimi quattro anni. Petra Kvitova sognava una giornata simile da quando ha esordito nella manifestazione a squadre più importante: voleva essere lei a regalare il punto decisivo al suo paese. Quel giorno aveva contro una Angelique Kerber che ha dato tutta se stessa, cercando ogni soluzione per creare problemi alla sua avversaria. Su una superficie creata apposta per le caratteristiche tecniche della n.4 del mondo, la tedesca ha tenuto testa da gran combattente mancando però nel momento decisivo del primo parziale quando per tre volte al servizio per chiuderlo non è mai riuscita a tenere la battuta.
Kvitova, avanti 3-0 e servizio nel secondo, si è spenta e nel terzo set ha rischiato l’incredibile beffa quando è stata indietro 1-4. In un continuo sali scendi di emozioni, l’ottovolante ceco ha ritrovato la forza per martellare sulle righe e nonostante tanta, tanta, tanta pressione, ha coronato il suo sogno in un ultimo game che ha toccato il picco massimo di tensione, con un doppio fallo sul primo match point ed un dritto lungolinea messo incredibilmente sotto il nastro sul secondo.
Al termine, entrambe le giocatrici sono scoppiate in lacrime e sono state circondate dalle proprie compagne, solo che le ceche saltavano e festeggiavano mentre le tedesche cercavano ogni modo per consolare una Kerber che non poteva darsi pace. Ancor più da incorniciare è stato lo splendido abbraccio tra le due poco più tardi. Anche questo è sport.
Serena Williams b. Wozniacki 3-6 6-2 7-6(6)
La partita più bella del Master di fine anno è la sfida tra le due grandi amiche, Serena Williams e Caroline Wozniacki. Per la danese c’è sempre stata poca gloria quando ha affrontato la statunitense, con una sola vittoria ed undici sconfitte, ma forse mai come in questa circostanza è andata vicino ad una vittoria inattesa e – detto sottovoce – forse più meritata della sua avversaria.
Wozniacki stava giocando un grande Master di fine anno e veniva da tre solide vittorie nel Round Robin, mentre Serena aveva saputo uscirne viva per miracolo dopo la pesantissima sconfitta per 6-0 6-2 patita da Simona Halep che solo il rocambolesco andamento della sfida tra la rumena ed Ana Ivanovic ha potuto rimetterla in gara. In quella sfida l’ex n.1 del mondo si è battuta fino all’ultimo con grande coraggio e nel terzo set entrambe hanno dato grande spettacolo soprattutto nelle fasi finali. Il quadro perfetto è completato dal volto di Serena che dopo il primo match point mancato grazie ad autentiche prodezze a rete di Wozniacki l’ha fissata con uno sguardo a metà tra l’incredula e l’arrabbiata.
Alla fine, però, è lei a vincere. Anche negli anni più difficili, anche nelle partite più complicate, una via d’uscita vincente molto spesso c’è. E Serena è una campionessa anche per questo.
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