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Wawrinka, Stan the man e le prime gloriose volte

TENNIS – QUIET PLEASE!- Di ROSSANA CAPOBIANCO – Stan Wawrinka è il primo giocatore della storia ad aver vinto per la prima volta in carriera nello stesso anno uno Slam, un Master 1000 e la Coppa Davis. E’ stato un anno di alti e bassi per “Stanimal”, come lo chiama l’amico Federer, ricco però di traguardi indimenticabili.

Stanislas Wawrinka non è una persona accomodante: ha un carattere particolare, spesso non esattamente gentile e simpatico ma è un uomo di squadra. Della sua squadra, quella di Davis che ha portato alla Svizzera la sua prima Coppa Davis della storia.

Stan Wawrinka sa ridere ma è chiaramente anche un iroso: ironico, spiritoso, non esattamente un “buono” però. D’altronde, come ebbe a dire qualcuno, se non sei figlio di buona donna almeno un po’, non vai tanto lontano, in uno sport competitivo. A Wawrinka mancava solo la volontà di diventare atleta, per arrivare a conquistare qualcosa di importante; la convinzione, l’ambizione, tutte cose che arrivano dopo. Certo “in casa” aveva un esempio come pochi e da lui ha saputo attingere, anche risorse concrete: Pierre Paganini come preparatore, Severin Luthi come consigliere, fisioterapista. Poi ha scelto Norman: colui che portò Soderling dall’essere una mina vagante a diventare l’unico giocatore (fin qui) a fermare Nadal al Roland Garros.

Con lo svedese Stan ha avuto da subito un feeling particolare, una comprensione totale, un’alchimia invidiabile: i risultati sono stati evidenti, subito. Lo Slam, sebbene siano stati complici i problemi fisici di Nadal che lasciano quel piccolo asterisco che però non va nell’albo d’oro, è arrivato. Con esso anche le distrazioni e la pressione e in mezzo, sulla sua superficie preferita (ma non ditelo ai francesi) anche il primo Master 1000 e per coronare un’annata che lo vede chiudere da numero 4 del mondo anche la Coppa Davis, da assoluto protagonista in finale.

In finale, sì, dove, come lo stesso Roger ha affermato “è stato il miglior giocatore indiscutibilmente”. Meno nei quarti, dove lo stesso Federer ha dovuto riparare i danni fatti dall’emotività di Stan che tra paura e confusione ha rischiato di mandare il Kazakhstan a giocare con gli azzurri di Barazzutti. La vera pecca di Wawrinka è infatti la poca lucidità nei momenti di pressione estrema, quando le aspettative in terra natìa sono troppe; in questo senso per lui è stata una vera fortuna disputare la finale contro la Francia fuori casa. Lo ha caricato il giusto, così come la presunzione dei francesi di concentrarsi quasi esclusivamente sulle debolezze di Federer.

Federer con cui non c’è sempre stato un rapporto idilliaco: no, non parliamo delle ultime vicende che sono più che altro giornalistiche, quanto di un inizio di rapporto alquanto scettico da parte di entrambi. Un po’ di resistenza da parte di Stan di mettersi all’ombra di un campione del genere, poche occasioni di approfondirne la conoscenza, due personalità forti ed egocentriche. Poi Severin Luthi e Paganini uniscono i due che si conoscono e a Pechino scocca la scintilla. C’è qualche disaccordo, quasi sempre sulla presenza in Davis, ma va detto che Stan, a differenza di Roger, fino a un anno e mezzo fa veniva “sovvenzionato” dalla Federazione elvetica con la quale aveva firmato un accordo che gli imponeva di presenziare. Quell’accordo da cui Federer si liberò nel 2004, mettendo alla porta anche Hlasek.

La loro amicizia è maturata e nei momenti di bisogno anche Paul Annacone, allora coach del numero due del mondo, ha aiutato Stan a livello tattico e tecnico. A Wawrinka è sempre toccato il compito di risollevare il morale di Roger: a Pechino come a Lille. Qualche incomprensione può esserci ancora ma l’affetto e gli obiettivi comuni sono chiari, così come l’intesa sul campo, rafforzata dal coach dei Bryan nelle ultime settimane. Compagni e rivali, nel giusto equilibrio dei ruoli.

Stan intanto si gode il suo anno d’oro: nessuno come lui ha centrato per la prima volta in carriera Slam, Davis e MS1000 in una stagione. La sua migliore. Da migliore tennista svizzero del 2014, nonostante l’incredibile continuità e la ritrovata qualità e forza di Federer: a raggiungere tutti i traguardi, tra le altalene della sua personalità è stato “Stan the man”, che ha imparato a prendersi le sue responsabilità e con esse, la gloria.

 

 

Rossana Capobianco

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