TENNIS – Di Diego Barbiani
LILLE. Alle ore 15:05 di domenica ventitrè novembre 2014 la Svizzera è entrata nella storia della Coppa Davis, Roger Federer ha consacrato ancora di più la sua carriera nella leggenda agguantando uno dei titoli più importanti che ancora gli mancavano.
E’ un trionfo di bandiere rossocrociate nell’avvenieristico scenario dello stadio di Lille, prestando dal calcio per questo appuntamento che fin dalla vigilia aveva le premesse di qualcosa di storico. 6-4 6-2 6-2 il punteggio finale del quarto incontro che ha decretato la fine delle speranze per la Francia che in mattinata è stata costretta a rinunciare anche a Jo Wilfried Tsonga per un problema al gomito. Richard Gasquet, mandato in campo dopo i disastri combinati nel doppio, non è riuscito a riscattare la sua prestazione venendo travolto dall’impeto e dalla voglia del n.2 del mondo di mettere le mani sull’insalatiera.
“Questo non è per me, è per loro” sono le prime parole di un Federer che al momento del match point si è inginocchiato sulla terra rossa ed è stato raggiunto da tutta la squadra che lo ha celebrato mentre uscivano, dai suoi occhi, lacrime di profonda gioia e soddisfazione personale. E’ l’immagine più bella di una partita che ha regalato poco equilibrio, colpa per così dire di Federer che fin dall’inizio ha giocato in maniera sublime, decisa e senza concedere una sola palla break in meno di due ore di gioco.
Tre set passati ad attaccare, a colpire da ogni angolo la fragile resistenza del suo avversario che come ieri non è riuscito a fare gioco ed ad esprimere il proprio valore, limitandosi a giocare due metri dietro la linea di fondo. Da lì le sue possibilità diminuivano drasticamente, soprattutto se la traiettoria dei suoi colpi non era sufficientemente profonda. E Federer entrava, sempre. Una valanga di vincenti lo hanno accompagnato fino alla palla corta finale che ha sancito il trionfo.
Solo in un frangente la partita poteva aprirsi a nuovi scenari: a metà del secondo set, con l’elvetico avanti 3-2 che si è trovato sotto 15-30. L’unica circostanza in cui Gasquet si stava incitando, Benneteau in panchina chiamava tutto il pubblico a farsi sentire. Da lì, due servizi vincenti inframezzati da uno smash difficilissimo indietreggiando. A quelli hanno fatto seguito tre vincenti tra cui due risposte spaventose ed alla seconda palla break ha trovato il punto del 5-2 che ha deciso gran parte della sfida.
Così, 22 anni dopo l’unica finale della loro storia, gli svizzeri alzano al cielo orgogliosi il loro primo trofeo di squadra. Sono campioni del mondo e se gran parte del merito è da attribuire a quel fenomeno là, non si possono non sottolineare tutti i meriti (e sono tanti) che ha anche Stan Wawrinka. Il campione degli Australian Open, proprio con quella vittoria, ha spinto Roger a provarci con grande dedizione ed ha incamminato tutta la nazione in un percorso pieno di insidie: dalla difficile rimonta sul Kazakistan ai rischi per la schiena di Federer sia nel singolare contro Fabio Fognini che nel weekend decisivo. Alla fine, però, è stato proprio il n.4 del mondo a prendere per mano la squadra ed a tenerla su come morale e carica agonistica nei momenti in cui il connazionale doveva completare il recupero fisico. Ha apparecchiato la tavola al più forte, per regalargli la gioia di essere lui, dopo tanto critiche, a rompere il tabù.
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