TENNIS – Di Daniele Azzolini
D’accordo, difendere Fognini è diventata un’impresa. L’ho fatto in passato, non lo faccio più. Chi ha buona memoria, fra i lettori, ricorderà un filotto di interventi, a inizio estate, in cui la redazione si “accannava” sul reprobo. Non eravamo d’accordo quasi su niente. Del resto, Fognini divide, fraziona e scompone persino se stesso, figurarsi gli altri.
Ora c’è questa storia di Shanghai. Ne scrivo dopo aver letto le cronache. La scenografia cambia, ma la coreografia sembra la solita. Partita oscena, pubblico tutto per il tennista di casa (e ci mancherebbe… Non ne hanno mai visto uno!), liti e finalino con il dito medio sguainato, estremo saluto agli spettatori vocianti e alla buona educazione.
Perché Fognini faccia tutto questo, è stato detto e scritto. E io personalmente (almeno sul punto) resto della mia opinione. Il ragazzo va in pappa quando la figura idealizzata di se stesso entra in conflitto con la realtà dei fatti. Il match che non gira per il verso giusto. I colpi che non partono come vorrebbe. Il pubblico che gli morde le chiappe. Lì Fognini scopre che ancora una volta non potrà essere bello e artistico come vorrebbe, e frana verso il peggiore “auto da fè” psicologico. Ogni insulto che lancia, è prima di tutto un insulto a se stesso. Da qui, magnanimo, muoveva il mio spirito solidale, e mi chiedevo come un tipo così facile agli sdoppiamenti, e così repentino nel metterli in atto, si potesse salvare e riportare nella terra del buon senso, salvando per giunta la parte migliore del suo carattere, quella che inzuppa d’estro alcune partite, o magari solo alcuni set (il terzo con Federer in Davis, giusto per ricordare il più vicino). Mi spinsi persino a maledire la scuola italiana, che insegna a leggere così pochi libri ai suoi ragazzi, almanaccando sull’ipotesi che un Fognini più colto (e non soltanto “bravo ragazzo”, cosa che nessuno mette in dubbio lo sia) avrebbe avuto a disposizione armi migliori per comprendere e comprendersi. Dunque per cambiare registro.
Ma la storia va avanti, oramai infinita. Nel circuito è diventata una barzelletta, lo intuisci da come ne parlano i colleghi, che tendano a scusarlo, ma con sussiego, con i risolini a mezza bocca che la Merkel e Sarkhozy regalarono al Berlusca. «Be’, lui è così, un po’ strampalato, a me mette di buonumore, basta lasciarlo fare senza dargli importanza»…
Basterebbe un giudizio del genere per farsi forza e rinsavire. Ma neanche questo basta al Fognini Furioso. E allora avanti, di dito medio in dito medio. Ma fino a quando? Ed è questo il nocciolo finale del problema. Fino a quando proseguirà questa solfa, e fino a quando dovremo scrivere articoli del genere, che non ci frega un tubo di scrivere? Possibile che una persona, nel pieno possesso delle proprie facoltà, non sappia imporsi una svolta, un cambiamento? Via, Fognini, ci sono riuscito io a mettermi a dieta, vuoi non riuscirci tu a importi, per una volta, un luminoso e fattivo silenzio?
Anche perché la buona regola dei grandi (alcuni, sublimi) transvolatori di ogni giusta misura, è sempre stata quella di accompagnare gli eccessi con le grandi vittorie, se non addirittura di facilitarle tramite le loro esagerazioni. Fognini procede in senso opposto, quando perde la brocca, perde anche la partita. “Todos a casa. Fantastica trasferta asiatica”, il tweet firmato dopo il match con la stessa mano del dito medio. Forse l’ATP dovrebbe inserire nel codice “l’abuso di eccesso”, che non è un gioco di parole, ma una regola ad personam. Anzi, ad Fogninim…
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