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US Open: Marin Cilic, dall'inferno alla prima gioia in uno Slam

TENNIS – Di Andrea Scodeggio

NEW YORK. “La vita è fatta a scale, c’è chi scende e c’è chi sale”, filosofia spiccia che però quante volte abbiamo sentito nella nostra vita, anche solo per descrivere le difficoltà che essa ci presenta ed i rischi che comporta. Marin Cilic questo lo sa bene, perché si è trovato anche lui in bilico fra salite, discese e poi di nuovo salite.

Inferno e Paradiso non sono mai stati così accomunati nella vita di una persona. Andiamo però con ordine, per descrivere ciò che è capitato al croato che si è incredibilmente aggiudicato lo US Open 2014 dopo la vittoria in finale su Kei Nishikori e quella precedente su Roger Federer.

Da giovane era un predestinato, vinse il torneo Juniores del Roland Garros e diventò numero uno al mondo della categoria. Le difficoltà del passaggio dal mondo junior a quello professionistico non lo hanno spaventato. Comincia a raccogliere i primi successi e nel 2008 in Australia raggiunge gli ottavi, battendo tra l’altro il cileno Gonzalez, “mano de pedra” come veniva soprannominato, all’epoca numero sette del mondo.

L’Australia è stata una tappa fondamentale e ricorrente. Nel 2010 raggiunse una strepitosa semifinale battendo, nell’ordine: Santoro (nella sua ultima partita ufficiale) Tomic (nella prima partita giocata in cinque set e chiusasi oltre le due di notte), Wawrinka, Del Potro (in cinque set) e Roddick (ancora in cinque set) prima di fermarsi solo davanti ad un Murray in grande forma e molto più fresco mentalmente. Balzò per la prima volta in top-10, posizionandosi al nono posto della classifica mondiale. Sembrava lanciato, ma le insidie ed i scivoloni sono dietro l’angolo ed il croato commette un grosso errore: inconsciamente si accontenta. Nei successivi due anni vince tornei, ma negli slam non ha compiuto quel balzo che tutti si aspettavano. Non riusciva a rimanere stabile fra i primi dieci ed il suo gioco era diventato prevedibile. Cilic si perdeva negli scambi lunghi da fondo che gli facevano solo male e ben presto comincia a perdere sempre più partite contro avversari indietro in classifica fino ad uscire a sua volta dai primi venti.

Nel 2013 la batosta e l’inaspettata notizia: Marin Cilic accusato di doping e poi sospeso per nove mesi, poi ridotti in secondo appello a quattro. La sostanza proibita era la creatina contenuta in una barretta di glucosio che la madre gli comprò a Monte Carlo durante il torneo. Cilic non se ne accorse e la ingerì con leggerezza. Pagò la sua pensa, ma la macchia poteva destabilizzarlo ancora di più mentalmente, lui che non era mai stato un asso sotto quel profilo.

Cilic però non si è arreso e dopo mesi difficili ritorna nel circuito molto presto, grazie alla riduzione stabilita dal CAS (“Court of Arbitration for Sport” in inglese, la corte dell’arbitrato sportivo). Cambia coach, passando dallo storico Bob Brett a Goran Ivanisevic e il ritorno fra i top è immediato. La squalifica non ha intaccato il suo tennis e Goran lo ha aiutato a migliorarsi molto al servizio, arma che lo rende più imprevedibile, e soprattutto lo ha convinto ad essere più aggressivo e potente. Anche la testa è più matura. Vince a Zagabria, quarto anno di fila, vince Delray Beach e conquista i quarti di finale a Wimbledon, proprio nel famigerato torneo dove era stata scoperta la sua positività e poi tenuta nascosta, costringendo al quinto set Novak Djokovic.

La vittoria conquistata agli Us Open lo trasporta in una nuova dimensione. La scalata al Paradiso è appena ricominciata. Bentornato Marin.  

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