TENNIS – US OPEN – DI ROSSANA CAPOBIANCO – Grigor Dimitrov dà una lezione al suo quasi coetaneo Ryan Harrison battendolo 62 76 62, vecchia eterna promessa statunitense, ora vittima di un’involuzione evidente. Continua invece l’anno solido del bulgaro, che centra finalmente la prima vittoria a NY e che al prossimo turno sfiderà Sela.
Quattro anni fa, a New York, nel Queens, dentro il complesso di Flushing Meadows, non si faceva che parlare di Ryan Harrison: era lui, non c’erano dubbi. Il futuro del tennis americano così depresso e in attesa dopo i Sampras e gli Agassi, che si era cullata con Roddick e che all’orizzonte faticava a trovare il sole, sopra una distesa arida. Era lui la promessa. E allora lo pareva davvero.
Vedevi questo ragazzotto del sud affacciarsi a rete ogni tre punti, la faccia tosta e per bene, avanzare turno dopo turno insieme alla Oudin, altra ragazzotta del sud, nell’altro tabellone. C’era molto caldo come adesso, a New York, e le speranze erano alte.
Oggi no. Oggi guardi Ryan Harrison e trovi arido tutto quello che fa: il servizio non ha più esplosività, i piedi sono ben al di là della linea di fondo e soprattutto i colpi non sono penetranti. E’ spaventato, soprattutto quando si trova avanti nel punteggio. C’è una regola nel tennis non scritta che dice che al massimo un campione può avere paura di perdere, mai di vincere. Figurarsi un set, poi.
Harrison era avanti nel secondo parziale, dopo non averci capito molto nel primo, e ha ceduto. Ha ceduto ad un suo quasi coetaneo (è del ’91 Dimitrov, del ’92 Harrison) che di passi avanti, rispetto a lui, ne ha fatti tanti.
In tribuna ad assistere al suo match c’erano Tony Godsick, che ora cura la sua immagine insieme al suo più illustre socio, Roger Federer, e addirittura Anna Wintour, che fin qui si è sempre scomodata solo per lo svizzero. Presenze che dicono molto, come la classifica di quest’anno del bulgaro. Non è ancora lì in alto, non ha ancora fatto il grande exploit: la via di Dimitrov è più faticosa, più graduale, più fisica e laboriosa. Non è il fenomeno, ma è un giocatore vero. Uno che raramente ormai perderà con chi potrà vincere. E non è poco guardando solo a due anni fa o anche allo scorso anno, a dire il vero.
Queste differenze, queste rette non parallele, hanno fatto in modo che la partita ci fosse solo per qualche minuto, il tempo di constatare la labilità dello statunitense, che passi avanti non ne ha fatto mezzo e ha ingranato una retromarcia spaventosa, pericolosa. Forse incontrovertibile.
E’ ancora una seconda quella di Grigor ma a New York cerca la conferma di quanto è avvenuto tra i verdi campi dell’All England Club, quella semifinale giocata quasi alla pari con un grande Djokovic.
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