TENNIS – TORONTO – DI DAVIDE BENCINI – Jo Wilfried Tsonga accede alla sua terza finale in carriera in un Masters 1000, la prima lontana dalla sua Francia (le due precedenti a Parigi-Bercy), battendo Grigor Dimitrov 6-3 6-4.
Ancora una volta chi pensava che fosse arrivato il momento del bulgaro è rimasto deluso; mentre i francesi finalmente potranno cominciare a sorridere di nuovo, pensando che dopo tanto tempo Tsonga sta tornando a quei livelli che lo mettevano di diritto tra le mine vaganti di ogni torneo che contasse.
Quella di oggi tra i due non è stata una partita spettacolare. Merito di uno Tsonga solido come poche volte quest’anno che non ha concesso quasi nulla al più giovane avversario (2 punti persi al servizio in tutto il secondo set) cancellando le uniche palle break (4) con il servizio; colpa di un Dimitrov apparso stanco, spento, confuso nelle scelte tattiche e poco incisivo con ogni colpo del repertorio.
Capitolo Tsonga: fa piacere rivederlo a questi livelli, perché il tennis ha bisogno di personaggi come lui e di tennisti come lui. Battere tre top10 di fila era qualcosa che non gli riusciva da tanto tempo, soprattutto se si pensa che batterne anche solo uno, prima di Toronto, era qualcosa che non gli riusciva dall’anno scorso. A Wimbledon si era già visto uno spiraglio di luce. Domani si giocherà il trofeo e francamente, visto il Federer sballato di ieri e un Lopez che una finale Master l’ha vista prima di oggi solo in tv, forse può ritenersi quasi favorito.
Capitolo Dimitrov: qui la cosa comincia a farsi complessa e quasi incomprensibile. A ogni torneo fa qualche passetto in avanti; a ogni torneo supera prove complesse o esami di maturità che hanno portato altri prima di lui a capire le proprie potenzialità e fare finalmente il grande salto. Con il Signor Sharapov invece alla lunga il tutto si conferma con la regola del “dispendio di energie”. Altri astri nascenti quando vincevano partite salvando match point poi si mangiavano gli avversari successivi, consapevoli finalmente della loro forza. Con Dimitrov ormai, dopo match vinti sul filo di lana, spesso ci si trova davanti alla prestazione in stile “il tacchino è cotto”. Oggi semplicemente non ne aveva più. A Roma fu un po’ la stessa cosa, anche se lì si pensò che avere davanti Nadal qualcosa in più contasse. A Wimbledon era mancato il colpo decisivo, il passo in più.
Ebbene qualcosa manca sempre. Soprattutto dal punto di vista fisico. E se ti manca a 23 anni, dopo un mese di pausa da Wimbledon è un bel problema (malgrado la febbre che lo ha costretto al ritiro da Washington)…
E’ indubbio che ci siano stati dei miglioramenti e che comincino ad arrivare i risultati, ma con Rasheed soprattutto sotto l’aspetto della forma atletica ci si poteva e doveva aspettare di più. Il fatto è che ad aspettare si diventa vecchi. E Dimitrov, malgrado la teoria dei piccoli passi, ancora non sembra pronto per le grandi finali.
Chi da questo Canada Open si aspettava delle conferme sulle nuove leve dovrà convincersi che al momento nessuno sembra poter ribaltare i valori delle classifiche. Raonic ha deluso ancora e di altri giovani neanche l’ombra. Le semifinali di questo Master 1000 sembrano in questo senso figlie un po’ dei tempi attuali, con Nadal ai box, Djokovic ancora alle prese con il pranzo matrimoniale sulla panza, Federer con gli anni sulle spalle e Murray in preda alla scalata-recupero-post-infortunio e alla crisi-il mio coach mi ha lasciato. Non si vede proprio chi possa soppiantare i soliti nomi nella classifica e nessuna delle leve che sembrano da un momento all’altro poter fare il grande salto sembra in grado di fare la voce grossa. Una volta arrivava, in ogni generazione, qualcuno pronto a demolire i mostri sacri, a dominare il circuito spazzando via quelli che fino a quel momento sembravano intoccabili. E’ successo con Becker, con Sampras, con Safin, con Hewitt, con Federer, con Nadal e con Djokovic. Adesso la sensazione è che quelli sotto vincano solo “per grazia ricevuta” e non perché siano pronti loro a imporsi. Ok, il tennis non è più lo sport “giovine” di una volta. Storia assodata. Trita e ritrita. E infatti la seconda semifinale non mette di fronte due giovincelli…
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